La lunga via del piombo

La lunga via del piombo

Un'inchiesta di PI inizia a fare luce sul sottaciuto problema dello smaltimento dei rifiuti elettronici di cui alcune grandi aziende hanno iniziato a farsi carico. Il Governo? Per ora è latitante
Un'inchiesta di PI inizia a fare luce sul sottaciuto problema dello smaltimento dei rifiuti elettronici di cui alcune grandi aziende hanno iniziato a farsi carico. Il Governo? Per ora è latitante

Milano, estate 2003. Una torrida estate, che può sfinire anche il più indefesso difensore del benessere di casa Rossi: il pinguino De Longhi , che dopo anni di onorato servizio, si blocca sfinito. Il sig. Rossi, non ancora in ferie, dopo alcuni attimi di sudato sconforto, prende l’inevitabile decisione e sabato acquista un nuovo condizionatore in un negozio Expert. E’ felice, ma nel suo cervello si fa strada un tarlo che chiede alla sua coscienza: “e il pinguino, dove lo mettiamo?”.

Si rende conto di doversi informare sullo smaltimento di un rifiuto “ingombrante” e forse non così innocuo ma la sua pigrizia, amplificata dalla calura di stagione, permette ad una sola idea di prendere il sopravvento: “Stanotte lo prendo e lo butto nel cassonetto”. E, compiaciuto per la soluzione, coglie l’occasione per sgombrare la soffitta da un altro, ingombrantissimo fagotto: i resti di un vecchio PC IBM XT , ritirato anni prima dal cognato commercialista e poi scarsamente utilizzato (era stato poi sostituito, provvidamente, da una Playstation, molto più apprezzata e sfruttata anche dai giovani rampolli di casa Rossi).

E’ così che, sul far di mezzanotte, Rossi decide di attuare il suo piano: carica la sua Duna Weekend (color azzurro egeo) e si allontana, guidando fino a via Ripamonti e svoltando in una traversa. Accosta nei pressi di un gruppo di cassonetti , scende dall’auto e scarica tre sacchi squadrati di plastica nera. Li svuota e, risoluto, getta nel cassonetto tutto quanto, prima il pinguino, poi il pc con il monitor, che cadendo emettono un tonfo sordo. Ripone i sacchi vuoti nel bagagliaio, si rimette al volante e torna rapidamente a casa, soddisfatto.
Una fine ingloriosa, che poteva essere evitata?

tratto da http://crdambiente.it L’ informatizzazione domestica , da noi, è nata negli anni ’80. Nelle nostre case sono entrate per prime le console Atari , seguite dai microcomputer Commodore , Sinclair e dai vari MSX , con il loro registratore di cassette o il drive per floppy disc; chi osava di più cominciava a mettere sulla scrivania “il” PC IBM o un “compatibile” (gli italici e blasonati Olivetti M20/M24 per chi se li poteva permettere, altrimenti c’erano gli Amstrad, gli Atari, i Commodore).

Chi tende a rimanere al passo con i tempi ha cavalcato con risoluzione il cambiamento, accumulando apparecchiature su apparecchiature e, nel percorrere tutte le tappe di prammatica (micro – home – personal computer, con tutti gli eredi successivi), ha senz’altro conosciuto un problema, che si è ripresentato puntualmente ad ogni nuovo acquisto: “E adesso di quello vecchio che me ne faccio?”. Qualcuno è riuscito a trovare soluzioni immediate, regalandolo o vendendolo, se in buono stato. Altri, invece, l’hanno affidato all’ oblio della soffitta , per mantener fede alla usuale considerazione secondo cui anche la vita di un PC nuovo è breve. E il problema si è poi riproposto, gettando nell’angoscia i possessori di una piccola soffitta, impossibilitati ad impilare l’Atari, il Commodore, l’Intellivision, l’Olivetti, l’assemblato, con relativi monitor ed annessi ricambi e connesse periferiche, tutti uno sopra l’altro.

Che fare? Aprire un piccolo museo di cimeli tecnologici o sbarazzarsi dei polverosi “ferrivecchi”? Abbandonata dopo due secondi la prima ipotesi, più affascinante, la maggioranza propende per la seconda ipotesi: la parola magica è eliminazione, anzi, smaltimento .

Il problema dello smaltimento, in realtà, è piuttosto serio e non riguarda solamente il mondo dei PC , dal momento che coinvolge anche telefonini cellulari, apparecchi palmari e tutti gli elettrodomestici, più o meno ingombranti.

Rifiuti elettronici Stando ai dati raccolti dalla Commissione Europea, attualmente discariche e inceneritori sono l’ultima dimora del 90% circa dei rifiuti elettronici ed elettrici (PC, periferiche e accessori, ma anche radio, tv, congelatori, frigoriferi, lavatrici), che vi giungono “integri”, ossia senza l’asportazione dei componenti pericolosi in essi contenuti.

Questo in realtà non è ciò che dovrebbe avvenire: anche in presenza di una legislazione specifica sullo smaltimento dei RAEE (“Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche”, altrimenti definiti WEEE, “Waste from Electrical and Electronic Equipment”, oppure E-waste ), il buon senso innanzitutto dovrebbe metterci una pulce nell’orecchio, mentre svuotiamo la soffitta, e ricordarci esistenza e finalità della raccolta differenziata. Di cosa sono fatti il pc e il monitor che stiamo buttando nell’immondizia?
Chi non si pone nemmeno la domanda li butta senza indugi nel cassonetto più vicino. Chi se la pone, ma non conosce bene la risposta, nel dubbio si comporta allo stesso modo, magari nottetempo, per non essere visto. Chi invece si rende conto di un potenziale danno ecologico si documenta, ma non trovando facilmente risposte immediate e univoche, si reca in un centro di raccolta rifiuti e butta tutto tra gli “ingombranti”.

Soluzione sostanzialmente giusta, ma? gli “ingombranti”, poi, che fine fanno?

La mancanza di una disciplina legislativa in merito porta alla confusione. Ciò ha spinto l’Unione Europea a colmare la lacuna, provvedendo all’approvazione, all’inizio del 2003, di due direttive (2002/95/CE e 2002/96/CE, con successive modifiche ed integrazioni) sulla raccolta differenziata di apparecchiature ed elettrodomestici, affidando a produttori, importatori e rivenditori il compito di organizzare i servizi di “raccolta, trattamento, recupero, reimpiego, riciclaggio e smaltimento” dei RAEE.

Il commissario Wallstrom L’esortazione di Margot Wallstrom , commissario europeo con incarico per l’ambiente, è piuttosto eloquente: “Noi compriamo e gettiamo un numero sempre crescente di rifiuti elettrici ed elettronici. Ma questi prodotti creano problemi alla normale raccolta dei rifiuti urbani perché contengono sostanze pericolose. Le nuove direttive metteranno fine a questa situazione ma solo dopo che saranno recepite nelle varie legislazioni nazionali. Sono sicura che molti Paesi non hanno rispettato la data prevista per il recepimento, ma li invito a mettersi in regola al più presto possibile, perché è necessario affrettarsi se vogliamo far cessare i danni provocati dai rifiuti elettrici”.

Le scadenze stabilite dall’Unione Europea sono ormai prossime: entro la prossima estate (13 agosto) 2005, ogni Paese europeo dovrà essere in grado di attuare un sistema di recupero e riciclaggio di tali rifiuti , efficace da un punto di vista ambientale ed economicamente sostenibile. In Germania un simile sistema è in dirittura di approvazione, ma a quanto pare in tutta Europa c’è un unico Paese ad essersi adeguato tempestivamente: la Grecia.

E l’Italia a che punto è?
Allo scopo di ottenere alcuni dati ufficiali e avere la possibilità di documentare la situazione aggiornata sulle attività in corso per l’attuazione delle direttive comunitarie sui RAEE (WEEE), all’inizio di gennaio ci siamo rivolti ad alcune istituzioni, che a nostro avviso potevano essere interessate all’ argomento.

“Il dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie non ha competenza sullo smaltimento dei rifiuti”, ci ha spiegato in una nota l’ufficio stampa del Dipartimento. Il Ministero per la tutela dell’Ambiente e del Territorio, probabilmente il più competente e coinvolto in materia, e il Ministero delle Attività Produttive (che potrebbe esserlo per quanto attiene la parte industriale di recupero), non hanno semplicemente risposto. In un caso una mail è stata cancellata, nell’altro è stata aperta ed è rimasta, è proprio il caso di dirlo, lettera morta. Se qualcuno pensa che i problemi ambientali del PC si registrino soltanto in fase di smaltimento si sbaglia di grosso. L’impatto quasi devastante del PC è la fabbricazione . Una ricerca condotta dalla United Nations University fornisce informazioni piuttosto interessanti e sorprendenti. La produzione di un computer dotato di monitor (da 17 pollici) necessita mediamente di 1,8 tonnellate di materiale: 240 chilogrammi di combustibile fossile, 22 Kg di prodotti chimici e metallici e 1,5 tonnellate di… acqua.
Nel complesso, per un PC si consuma l’equivalente del peso di un’auto!

Naturalmente, il problema dell’inquinamento si ripresenta al termine del ciclo di vita del prodotto. Benchè sia difficile avere valori attendibili, non disponendo di dati ufficiali, proviamo a dare un’idea delle proporzioni del problema, basandoci su un rapporto di WWF e Consorzio Ecoqual’it . Secondo lo studio “Le cause e gli effetti della mancata gestione dei rifiuti tecnologici” ogni cittadino dell’Unione Europea produce ogni anno circa 20 chilogrammi di e-waste , quantitativo che, nel giro di cinque anni, è destinato ad una crescita compresa tra il 16 e il 28%. Nel complesso, si tratta di milioni di tonnellate di materiale.

Questa gigantesca collina di rottami tecnologici , niente affatto inerti, implica l’esistenza di un problema ambientale di primissimo rilievo, essendo composta, tra l’altro, da un insieme di metalli pesanti e sostanze pericolose per l’inquinamento di aria, acqua e suolo. Solo per citarne alcune, in questo tipo di rifiuti abbiamo la certezza di trovare piombo (mediamente 4 chilogrammi in un tubo catodico), sali di bario (anch’essi presenti nei tubi catodici), mercurio (presente negli interruttori), cadmio (presente nei semiconduttori); c’è anche il cromo esavalente , sostanza che è stata resa famosa da un caso legale nato negli USA e raccontato da Soderberg nel film Erin Brockovic .

La composizione di un PC Prima della presa di coscienza da parte delle istituzioni, qualcun altro aveva già pensato al problema: HP in primis, seguita poi da IBM , già alcuni anni fa aveva sperimentato la soluzione commerciale della permuta, con il ritiro del pc usato da rottamare a fronte di un nuovo acquisto. Ovviamente le implicazioni ambientali di queste iniziative di marketing non potevano che giovare all’immagine delle aziende e così altri produttori hanno percorso questa strada, inseguendo anche la possibilità di ottenere certificazioni come la TCO (che verificano la eco-compatibilità della fabbricazione e del funzionamento delle apparecchiature).

Le direttive europee stabiliscono che siano i produttori a pagare i costi della raccolta e del trattamento dei rifiuti . Un utente finale potrà quindi consegnare il proprio vecchio PC ad un servizio di raccolta e i produttori dovranno occuparsi del recupero dei rifiuti, in modo indipendente o partecipando a progetti collettivi. I compiti che le direttive attribuiscono a produttori e rivenditori (che, ricordiamo, consistono nei servizi di “raccolta, trattamento, recupero, reimpiego, riciclaggio e smaltimento”) sono indubbiamente impegnativi. Dal momento che l’unione fa la forza, se qualche produttore/rivenditore intendesse cogliere l’occasione, potrebbe associarsi al Consorzio Ecoqual’it che già annovera nominativi molto importanti: Brother Office Equipment, Canon, Danka, Epson, Fujitsu, Hewlett-Packerd, Ibm, Konica Minolta, Kyocera Mita, Lanier, Lexmark, LG Electronics, Nrg, Oki Systems, Olivetti Tecnost, Ricoh, Samsung Electronics, Sharp, Sony, Tallygenicom, Toshiba Tec, Xerox.

Il consorzio ha realizzato un progetto di formazione e affiancamento dei vendor da parte di tutor qualificati, affinché sia effettuato un corretto trattamento dei prodotti giunti al capolinea . Ritirato il materiale, Ecoqual’it lo trasferisce ai trattatori, ossia quei soggetti che smantellano i rifiuti per “salvare il salvabile”, cioè recuperare elementi e sostanze riciclabili .

In Italia esiste anche un’iniziativa destinata al mondo didattico: è il Progetto Lazzaro e ha per oggetto “la rivitalizzazione ed il recupero funzionale delle LAN e dei PC obsoleti presenti nelle scuole italiane”. Un lieve aggiornamento dell’architettura della rete e l’introduzione di sistemi, software e applicazioni open source, consentono di prolungare la vita utile di macchine ritenute vetuste : i vecchi PC del tipo Pentium I – con soli 32 MB di RAM ed una scheda video da 2 MB – quando sono collegati al Server Lazarus (il cuore della lan, con sistema Novell Linux desktop, ndr) forniscono prestazioni computazionali comparabili a quelle di PC con clock a 2 GHz e 256 MB di memoria RAM. Inoltre, in caso si intenda ampliare il parco macchine con l’acquisto di “Thin Client” ricavati da pc obsoleti, anziché attraverso nuovi PC, è possibile ottenere un risparmio di circa il 75%.

Il topo ecologico Un’ulteriore iniziativa non istituzionale è partita negli Stati Uniti, si chiama Rethink ed è stata ideata da eBay , che ha appositamente creato una sorta di vetrina per riciclare, rivendere e regalare apparecchi (o componenti) elettronici usati . Meg Whitman, presidente e amministratore delegato di eBay, ha riferito che l’idea è nata sulla base di un’esigenza fondamentale e insoddisfatta perché, mentre alcune aziende di information technology hanno realizzato alcune iniziative abbastanza innovative sul riciclaggio dei componenti elettronici, “per noi era necessario fare qualcosa di più”. Il progetto di eBay vede il coinvolgimento delle divisioni americane di grandi nomi come Intel, HP, IBM, Apple, Gateway, con vari distributori. All’appello degli eccellenti manca tuttora l’adesione di Dell.

Iniziative complesse dall’esito incerto ma probabilmente capaci di avere un impatto. Un po’ come avvenuto con le campagne Vodafone per lo smaltimento delle batterie dei telefoni cellulari. Iniziate nel 2002, le campagne hanno portato alla raccolta di tonnellate di plastiche, quintali di rame e di fibre, nonché al recupero di materiali inquinanti dalle battere.

Tutto questo pone in chiara evidenza quanto sia decisivo non solo smaltire, ma anche concepire gli apparecchi sin dal loro design in un modo che minimizzi il più possibile l’impatto ambientale, pensando all’ impiego di tecnologie e materiali riciclabili .

Il monitor di legno Questo nuovo modo di progettare prende il nome di eco-design ed è uno dei requisiti premiati dalla certificazione TCO e dal concorso Award Ecohitech , organizzato da Ecoqual’it in collaborazione con la Regione Lombardia e WWF Italia, un riconoscimento che sicuramente ha un benefico ritorno, in termini di immagine, per coloro che lo ottengono. Di eco-design ad esempio ha parlato Nature Science Update portando alla notorietà, lo scorso anno, l’azienda svedese Swedx , che ha proposto un’innovativa linea di prodotti realizzati con materiali ad elevato potenziale riciclabile . Nessun mistero, nessuna scoperta, nessuna formula studiata per anni e poi mantenuta segreta: la Swedx produce monitor, tastiere e mouse fabbricati con legno proveniente da foreste cinesi gestite in modo sostenibile . Legno, impiegato in luogo di una materia plastica o di una lega innovativa! Considerando i risultati raggiunti sull’intelligenza artificiale di robot e computer, verrebbe da pensare che il Pinocchio di Collodi sia una storia scritta nel terzo millennio…

Dario Bonacina

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Pubblicato il 15 feb 2005
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