Roma – Nell’ultima settimana sono accadute un paio di cose interessanti che sottolineano – se ce ne fosse ancora bisogno – come la rete internet italiana non sia cambiata e continui ad essere ancora vigorosamente autoreferenziale. In altre parole esistono eventi che riguardano la rete che trovano in rete il loro intero sviluppo: notizie che nascono su Internet, trattano di avvenimenti accaduti online, scatenano accese discussioni digitali e infine si spengono (proprio come ogni altra notizia) senza che nel mondo reale nessuno si sia accorto di nulla.
Ditemi voi – per fare un esempio – chi, fuori dalle maglie del web italiano, si sia chiesto in questi giorni chi è Luca Panerai. Rispondo con un discreta sicurezza: proprio nessuno. Eppure un articolo su Panorama Next di questo giornalista (incidentalmente figlio dell’editore di Milano Finanza Paolo Panerai) ha scatenato in rete un vero e proprio piccolissimo putiferio. Dell’articolo di Panerai, un pezzo pieno di inesattezze, refusi e frasi senza senso sul mondo dell’open-source, hanno parlato dentro la Internet italiana un po’ tutti, dagli iscritti alla mailing list cyber-rights dove il caso è scoppiato, ad alcuni siti web informativi importanti quali Clarence, che ha perfino aperto un forum dal titolo “Penne rubate all’agricoltura” a Zeus News che ne ha trattato in un articolo di Paolo Attivissimo, al Barbiere della Sera che ne ha analizzato i risvolti più strettamente legati alla professione giornalistica.
Tutto questo è stato sufficiente perché Mondadori cancellasse l’articolo dal suo sito web (prontamente “ricopiato” da Clarence) sostituendolo con una lievissima lettera di scuse e precisazioni .
Senza contare che qualcuno in rete si è accorto che alla fine dell’articolo incriminato Panerai cita una società di sua proprietà come una soluzione ASP seria e raccomandabile per i suoi lettori. Non c’è che dire, un bell’esempio di deontologia professionale.
Non ho idea se il pezzo in questione raggiungerà le centinaia di migliaia di persone che sfogliano Panorama nella sua versione cartacea: se ciò avvenisse sarebbe l’ennesima dimostrazione che, in Italia più che altrove, Internet resta un mondo a parte, perdendo così molte delle sue attitudini rivoluzionarie. Ciò che accade in rete è spesso ininfluente per la realtà circostante, che è poi l’unica che conta davvero.
Altra faccenda dell’ultima settimana che sembrebbe dare indicazioni di segno opposto: lo sciopero dei dipendenti di Virgilio a Milano. Una eccezione alla autoreferenzialità della rete Internet? Così sembrerebbe di primo acchito. Ecco che i problemi del mondo digitale diventano finalmente concreti e iniziano ad assomigliare a quelli che siamo abituati a conoscere offline? Di fronte a noi le immagini un corteo sotto la pioggia e non il solito netstrike, e poi dei megafoni, qualche cartellone, persone che camminano: tutte cose che escono da Internet per diventare finalmete parte del mondo reale.
Però la grande copertura che televisioni e giornali hanno dato all’evento (un evento tutto sommato piccolo, 100 posti di lavoro a rischio in una piccola azienda con circa di 300 dipendenti) è stato in gran parte dovuto alla “sindrome della prima volta”. Per la prima volta infatti scioperava la new economy e molte delle ragioni dell’ampia copertura su giornali e TV dello sciopero dipendono esclusivamente da questo. Ora senza nulla voler togliere ai seri guai occupazionali dei dipendenti Matrix, qualunque stupidaggine, quando accade per la prima volta, trova grande attenzione sui media: si tratterà di vedere quale sarà la copertura del secondo, del terzo o del 70esimo sciopero della new economy, prima di convincerci che anche Internet è diventata una parte della nostra vita normale.
Senza dimenticare che la copertura mediatica dello sciopero di Virgilio può anche essere letta come un esempio di autoreferenzialità al contrario: una specie di atto vendicativo che consiste nel riferirsi agli eventi che nascono in rete, trasportandoli nel mondo reale solo quando essi servono a dare di Internet una certa immagine. Si tratta di una modalità di comportamento dalle motivazioni assai complesse ma ben sperimentata per esempio quando sugli old media si parla di pedofilia o di terrorismo internazionale o di riciclaggio, ovviamente online, di denaro sporco.
Ma una internet che parla con se stessa e basta è una internet zoppa: fallisce in uno dei suoi scopi principali che non è solo quello informativo e di confronto fra le opinioni (nel quale nei due casi citati oggi riesce benissimo) ma è anche quello propositivo e concreto di poter, in qualche modo e con un pizzico di follia, provare a “cambiare il mondo”. La discesa in campo dell’intelligenza collettiva che Internet è in grado di organizzare è ancora lontana dall’essere messa in pratica: il rischio concreto è quello che le discussioni e le prese di coscienza che nascono per merito di questo nuovo media per quanto condivisibili e sacrosante rimangano confinate dentro le pareti di un club, al di fuori del quale, tutto continua a scorrere come se nulla fosse.