Contrappunti/ L'insostenibile leggerezza del P2P

Contrappunti/ L'insostenibile leggerezza del P2P

di Massimo Mantellini - La via è tracciata: i contenuti in salsa copyright devono ora vedersela con un'utenza che sceglie solo quelli di proprio interesse. E che è destinata a produrne di propri
di Massimo Mantellini - La via è tracciata: i contenuti in salsa copyright devono ora vedersela con un'utenza che sceglie solo quelli di proprio interesse. E che è destinata a produrne di propri


Roma – In un commento anonimo al mio Contrappunti della settimana scorsa , là dove si parlava di contenuti digitali e loro distribuzione in rete, il lettore esponeva una contestazione per qualche verso sacrosanta:

“la realtà non è quella di una periferia che produce, distribuisce e gode, ma è ancora di una periferia che distribuisce e gode.”

Sacrosanta dicevo per ciò che attiene allo status quo. Chiunque utilizzi un software P2P fra i tanti disponibili sa bene che la grande maggioranza dei contenuti scaricabili attraverso simili collegamenti sono condivisi dagli utilizzatori in barba alle norme vigenti sulla proprietà intellettuale. Gli utenti della rete Internet oggi, apparentemente e da un certo punto di vista, distribuiscono e godono , secondo la fortunata espressione dell’anonimo lettore. Distribuiscono, godono e non producono.

La parte invece meno vera di questa frase è, per conto mio, altrettanto interessante.

L’idea stessa di produzione dei contenuti demandata ad una ipotetica categoria di “addetti ai lavori” è destinata ad una prossima importante rimodulazione. Ci sono molti segnali che indicano questo. Il primo che mi viene in mente è che più la rete Internet diventa grande e diffusa e maggiormente il mercato si parcellizza.

Noi proveniamo da una società dei contenuti organizzata verticalmente. Usiamo la musica come esempio di questo: come scrive Lawrence Lessig nel suo recente Cultura libera :

“Le cinque etichette discografiche di Universal Music Group, BMG, Sony Music Entertainment, Warner Music Group e EMI controllano l’84,8 per cento del mercato statunitense della musica”

Lo stesso impressionate fenomeno di concentrazione è avvenuto negli ultimi 30 anni un po’ in tutto il mondo ed ha interessato tutti i media, dalla Tv, alla radio, ai giornali. Pare insomma che la deprimente situazione italiana da un certo punto di vista non sia una eccezione.

Credo non sfugga a nessuno che questa tendenza al gigantismo dei media e dei soggetti distributori dei contenuti è una tendenza che è intrinsecamente contraria agli interessi degli utenti. I quali sempre più spesso utilizzano Internet per sfuggire dall’assedio e dalla prevedibilità del mercato di massa. Senza contare che anche la qualità intrinseca dei contenuti viene costantemente svilita da una simile selezionata organizzazione.

Se questo è il contesto nel quale è nata la distribuzione da pari a pari è ovvio che la grande maggioranza dei contenuti che gli utenti si scambieranno in rete sarà, per ora, riferibile al vecchio mercato da essi conosciuto. Perché di poco d’altro abbiamo oggi concreta disponibilità.

Ma se guardiamo meglio, anche nell’ambito di contenuti prodotti dai media mainstream, i circuiti p2p stanno già da tempo effettuando un lavoro sotterraneo di selezione e sottolineatura che con la produzione intellettuale ha strette parentele: i circuiti di file sharing oggi, se si ha la voglia per un momento di sottrarli alla imbarazzante ribalta della “pirateria”, rielaborano le informazioni disponibili, ordinandole diversamente da come originariamente pensato.

L’inatteso intervento del Presidente del Consiglio Berlusconi al programma televisivo Ballaro’ su Rai 3 è stato, per esempio, immediatamente reso disponibile all’interno dei circuiti di condivisione: la rilevanza di un simile contributo video è stata determinata dall’interesse dei fruitori di simili informazioni e non calcolata in base a differenti categorie.

E’ solo un esempio che ci serve per dire che, a differenza di come può sembrare, la prima bandiera bianca alzata del vecchio sistema distributivo è quella del concetto di rilevanza: oggi l’accesso a Internet ridisegna molti complessi equilibri che contribuivano a indicare quali notizie erano adatte a raggiungerci ed in quale maniera.

La grande maggioranza degli utenti dei media non immagina lontanamente (perché ovviamente nessuno si affanna a spiegarglielo) quale complicata alchimia regga l’impalcatura dei contenuti che ci raggiungono ogni giorno. Una ricetta raffinatissima fatta di tanti diversi interessi economici, commerciali e politici che ha il difetto di rendere ogni cosa simile ad un insipido pastone. Notizie, musica, cinema, tutto è uguale a se stesso nel Manuale Cencelli del perfetto prodotto mediatico. Fino a ieri solo questo passava il convento: oggi le cose sono molto cambiate ed ognuno di noi ha per la prima volta la possibilità di scegliersi il menù che più gli aggrada.

E’ proprio attraverso questa riacquistata autonomia (e per carità, si tratta di una speranza e di un investimento sulla intelligenza dei nostri figli) legata dalla libera circolazione delle informazioni che passa anche l’idea di una produzione dei contenuti che superi, almeno in un numero rilevante di casi, l’ingessato sistema odierno del copyright senza se e senza ma.

Le normative che regolano la proprietà intellettuale sono figlie della concentrazione di cui dicevamo poc’anzi. Ne rappresentano l’essenza di retroguardia. La loro inapplicabilità ai tempi di Internet è del resto sotto gli occhi di tutti. Così come sempre più spesso, se vogliamo riferirci agli utenti, sarà una scelta di retroguardia utilizzare Internet solo come medium passivo attraverso il quale scaricare materiale sotto copyright violando le leggi vigenti. Quando questa riconquistata coscienza sarà patrimonio comune (ci vorrà del tempo dopo il bombardamento mediatico di questi anni) capiremo non solo quanto rapido ed efficace sia il file sharing per diffondere notizie e contenuti in rete, ma anche quali spazi formidabili di visibilità e selezione potranno avere i contenuti creati da ciascuno di noi al di fuori della logica conosciuta degli azzeccagarbugli dei nostri tempi, secondo i quali l’unica alternativa ai contenuti digitali a pagamento è “nessun contenuto”.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
16 mag 2005
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