DTT, gli enti locali non ci stanno

DTT, gli enti locali non ci stanno

Il T-Government non decolla? Breve incontro di Punto Informatico con alcune delle istituzioni locali che hanno rinunciato ai fondi stanziati per lo sviluppo di piattaforme dedicate. Ecco cosa è successo a Torino e Varese
Il T-Government non decolla? Breve incontro di Punto Informatico con alcune delle istituzioni locali che hanno rinunciato ai fondi stanziati per lo sviluppo di piattaforme dedicate. Ecco cosa è successo a Torino e Varese


Roma – Pochissimi soldi da gestire, progetti troppo costosi dall’incerto vantaggio, partnership con privati poco produttive per la parte pubblica, utenza ancora troppo scarsa. Sono queste solo alcune delle ragioni che hanno indotto la Provincia di Trento, il Comune di Torino e quello di Varese a rinunciare ai fondi messi a disposizione del primo bando Cnipa del 2004 che sembrava dover segnare una svolta nella diffusione del DTT, soprattutto per i servizi della pubblica amministrazione e di quel T-gov che ancora non c’è.

Eppure il Cnipa ha già pubblicato un secondo bando , anche questo ricco, in apparenza, vista l’enorme quantità dei progetti che saranno finanziati. E proprio in questo nuovo importo (1.760.000 euro) sono confluiti i finanziamenti rifiutati (poco più di 500mila euro) che erano destinati alle tre amministrazioni pubbliche che, invece, hanno trovato più vantaggioso rinunciare piuttosto che arrischiarsi in una avventura giudicata troppo nebulosa.

Abbiamo voluto approfondire le ragioni della rinuncia e capire perché quei progetti non vedranno la luce e, soprattutto, a cosa rinunceranno i cittadini.

Il caso del Comune di Varese
“Perché abbiamo rinunciato? Guardi, al Comune di Varese spettava una cifra di 340.000 euro. Poi sono stati rimodulati in 180.000. Tolta la cifra del privato, la spesa per noi si sarebbe tramutata in 120.000 euro. Importo decisamente elevato per il nostro ente”.

L’ingegnere Pietro Vassalli è il responsabile del settore innovazione ed ha curato in prima persona la preparazione del progetto e le fasi culminanti di TVarese . “In questo tipo di progetti – spiega – il partner privato conta moltissimo, ma ha obiettivi diversi rispetto all’ente pubblico. Questo non agevola il dialogo; l’impresa mira soprattutto a creare standard che possano poi essere riutilizzati e rivenduti, in sostanza guadagnarci, il Comune no”.

Secondo l’amministrazione comunale partire alla grande per poi realizzare un progetto a risparmio per mancanza di sovvenzioni sarebbe stata una attività con grandi rischi e pochi risultati . “Il Governo – spiegano a Punto Informatico i responsabili – ha voluto accontentare troppe persone e così ci ha costretti a snaturare il nostro originario progetto. In altre parole cambiare l’anima, l’iniziativa, i servizi, la qualità e la quantità dell’offerta. Ci siamo guardati negli occhi ed abbiamo deciso che il gioco non valesse la candela. Abbiamo risparmiato una cifra importante che abbiamo utilizzato per bisogni più urgenti”.

Il problema a Varese è stato caratterizzato anche dall’arrivo del commissario ad acta e dunque dall’uscita di scena del sindaco: quando questo succede si bada solo alla ordinaria amministrazione. Inoltre, una televisione privata locale che in un primo momento aveva deciso di non partecipare ha poi cambiato idea ed ha puntato decisa sul digitale terrestre iniziando a fornire alcuni servizi. A quel punto sembrerebbe che l’amministrazione comunale, anche in considerazione del fatto che un’emittente e alcuni servizi già c’erano, abbia deciso di non “intralciare” il cammino del privato locale. E questo sebbene proprio con questo privato il Comune stia lavorando a qualche ipotesi per far decollare almeno alcuni dei servizi naufragati assieme ai fondi Cnipa.

Punto Informatico: In cosa consisteva il progetto abortito?
Pietro Vassalli: Il progetto consisteva sostanzialmente nella convergenza di una piattaforma di servizi. Si trattava di reindicizzare tutti i contenuti già presenti sul web ed integrarli nel DTT. Sostanzialmente, servizio di informazioni unidirezionale anche se avevamo pensato alla possibilità di sviluppare altri servizi amministrativi legati all’anagrafe o alla carta d’identità elettronica.
Avevamo pensato per esempio di dare l’opportunità di stamparsi quei certificati sostitutivi direttamente a casa in modo da velocizzare le pratiche. Ma il vero problema riguarda la cultura e la penetrazione del mezzo. Ipotizzare un televideo migliorato e graficamente più bello attira al momento molto poco.

PI: Ma allora il vero problema di questi bandi, secondo lei, qual è?
PV: Al momento della pubblicazione la cosa sembrava effettivamente molto appetitosa ma, tecnologicamente parlando, erano altri tempi. E molti sono stati solleticati dall’idea: sono stati presentati tantissimi progetti. E’ logico che se si attinge tutti dallo stesso bacino c’è meno acqua per tutti e chi ha più risorse va avanti, gli altri sono costretti ad abbandonare la corsa. Secondo me era opportuno organizzare i finanziamenti in maniera diversa… magari premiare solo i 10 progetti migliori ma finanziarli al 100% invece che tanti progetti finanziati per una piccola parte”.

Ma anche un grande Comune come Torino ha per ora rinunciato al DTT pubblico-privato. Ecco perché.


La vicenda del Comune di Torino
Se ci si sposta da Varese al capoluogo piemontese, città molto più grande e sede di grandi imprese, lo scenario non sembra essere così diverso.

“Il cuore del nostro progetto – spiega a Punto Informatico Franco Carcillo, responsabile servizi telematici del Comune – doveva essere la creazione di una multipiattaforma indipendente da quella del partner privato e che fosse in grado di fornire un ponderoso servizio informativo basato fondamentalmente sul riutilizzo del materiale del nostro sito Internet e utilizzando le fonti RSS insieme ad altri contenuti creati ad hoc. Abbiamo pensato essenzialmente a notizie di servizio e che potevano riguardare la viabilità o l’accoglienza in città oppure avvisi generali, bandi ecc.. Non avevamo ipotizzato nessun tipo di servizio interattivo anche perché non riteniamo che l’utente medio possa diventare scemo a scrivere con il telecomando… soprattutto perché quell’aggeggio è nato per fare ben altro”.

Punto Informatico: Il progetto “Qmic” era stato presentato con i partner Telecom-La7 e la locale Quarta Rete tv. Anche in questo caso l’idea che se ne ricava è quella di un “televideo evoluto”. Dal punto di vista economico quali erano i parametri?
Franco Carcillo: Il costo iniziale e totale si aggirava su 1,8milioni di euro ma a conti fatti sarebbe stata confermata la disponibilità soltanto di 280mila. A questo punto, verso la fine del 2005, è iniziato un lungo processo di rimodulazione dello stesso progetto per cercare di adattarlo alle risorse pubbliche disponibili. Dopo molti giorni di lavoro è sembrato francamente impossibile riuscire a comprimere un progetto di quasi 2 milioni ad uno di valore pari ad un quarto. Tutto sembrava così snaturato e veniva a perdersi l’idea fondante e l’ossatura principale dell’originario progetto.

PI: Un problema di decurtazione dei fondi, dunque, ma non solo…
FC: Altre difficoltà sono state create dalle regole del bando che ci consentivano di modificare il progetto ma in minima parte e senza cambiare i soggetti privati. Cosa non facile. A conti fatti questa sperimentazione doveva durare nove mesi e sarebbe costata comunque una barca di soldi. E un a volta finita la sperimentazione? Ci saremmo trovati con un pugno di mosche spendendo pure tanto. Abbiamo deciso allora di non aver nulla ma risparmiando soldi… una scelta praticamente obbligata dalle condizioni della finanza locale.

A pesare, spiegano al Comune, anche la scarsa incisività che il mezzo ancora ha anche in questa porzione di Italia, la sua diffusione relativamente scarsa nonché i molti dubbi attorno alla sua utilità pratica. Al Comune di Torino fanno notare come sia errato tentare di adattare contenuti propri di un altro media (Web) al digitale terrestre che invece dovrebbe sviluppare servizi e contenuti sfruttando al meglio le proprie peculiarità, così come fa l’informazione sul web rispetto ai giornali tradizionali.

Ma tutto questo implicherebbe ben altre risorse ed abbiamo visto come sia proprio questo il principale ostacolo.

“In definitiva – conclude Carcillo – credo che la sperimentazione non possa essere fatta sulla pelle dei cittadini e con i soldi degli enti locali. Allo stato attuale i costi sono troppo elevati ed i benefici per gli utenti quasi inesistenti. Credo che la sperimentazione vada fatta in ambienti precisi, circoscritti, magari anche prolungando i tempi ed in maniera efficace per testare davvero l’efficacia del prodotto, e non a pioggia come si è fatto”.

Anche la provincia di Trento ha rinunciato alla sua quota di finanziamento pubblico per il progetto Amica-Tv . Abbiamo provato a contattare più volte il responsabile, ma non abbiamo avuto il piacere di ascoltare le motivazioni dell’ente.

Alessandro Biancardi

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Pubblicato il
11 apr 2006
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