P2P, attacco ad alzo zero contro gli ISP

P2P, attacco ad alzo zero contro gli ISP

Gli industriali della musica chiedono che i provider paghino le violazioni commesse dai propri abbonati. Sono imprese - dicono - che lucrano sulla condivisione. Presto la bozza di legge
Gli industriali della musica chiedono che i provider paghino le violazioni commesse dai propri abbonati. Sono imprese - dicono - che lucrano sulla condivisione. Presto la bozza di legge

Londra – I provider non si piegheranno alle major né pagheranno le violazioni al diritto d’autore commesse dai propri utenti. Questa, in sintesi, la posizione dell’associazione britannica degli ISP che sta tentando di schivare nuove granate scagliate dall’industria dell’intrattenimento.

Le major hanno infatti avanzato una proposta che piace anche a diversi opinion makers, quella cioè di tassare i provider per i file protetti da diritto d’autore e condivisi, senza autorizzazione, dai propri abbonati.

Attenzione: non si tratta di rendere legale lo sharing imponendo un “quid” sugli abbonamenti ad internet, quanto invece di dichiarare gli ISP responsabili per le attività web degli utenti. La proposta formulata dal think tank dell’ Association of Independent Music (Aim) , che raccoglie i produttori indipendenti britannici, prevede infatti che gli utenti dei provider paganti continuino a pagare a loro volta per ogni download musicale eseguito. Non è un caso che la proposta sia stata realizzata in collaborazione con la Performing Right Society , che si occupa della raccolta e redistribuzione del diritto d’autore. La condivisione via peer-to-peer, dunque, continua ad essere vista come una minaccia al cosiddetto “business legale”.

Tutto questo, se diventasse legge come auspica l’industria di settore, renderebbe gli ISP passibili di denuncia per le attività illegali dei propri utenti, in quanto imprese che lucrano “dalla condivisione o registrazione di musica”.

Una tesi rigettata con forza dai provider. L’ associazione britannica degli ISP non solo ha ricordato che i provider non giustificano in alcun modo le violazioni alle norme ma ha sottolineato che “i provider non hanno responsabilità per il file sharing illegale in quanto i contenuti non sono conservati sui propri server. Sebbene questi file possano essere trasmessi sulle reti dei provider, questi sono dei semplici veicoli per le informazioni, come stabilito dalle direttive e-Commerce del 2002”. “I provider – continua la nota – non hanno maggiori possibilità di ispezionare e filtrare ogni singolo pacchetto che passi sulle proprie reti di quante ne abbia un ufficio postale di aprire ogni singola busta”.

Produttori e musicisti sono convinti che questa sia l’unica strada e che occorra smettere di denunciare gli utenti e dedicarsi invece agli ISP. “Il divieto – ha dichiarato il batterista dei blur Dave Rowntree – produce sempre disastri. Come industria, abbiamo imparato le nostre lezioni”. “Siamo tutti d’accordo – ha invece spiegato il direttore esecutivo di Aim, Alison Wenham – che i consumatori sono l’obiettivo sbagliato su cui focalizzarsi. Ma – ha concluso – con l’attuale legge sul diritto d’autore sono gli unici obiettivi possibili”.

È certo di interesse, infine, il fatto che questa proposta arrivi a ridosso del secco rifiuto di Tiscali e di altri provider che operano nel Regno Unito di fornire all’industria della musica i nomi degli utenti che, a detta dei produttori, sono coinvolti in un giro illegale di musica via peer-to-peer. Rifiuti che, evidentemente, non vanno giù.

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Pubblicato il
18 lug 2006
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