Durante la Worldwide Developer Conference (WWDC) del giugno 2005, Steve Jobs, CEO di Apple , annunciò al mondo la storica scelta di abbandonare i processori PowerPC di IBM e passare ad architetture Intel.
Oggi, a poco più di un anno di distanza, la transizione ai chip di Intel è già terminata: il primo Mactel è stato presentato a gennaio e, dopo soli sette mesi (con un anno di anticipo rispetto a quanto pronosticato), tutta la linea di computer Apple è equipaggiata con processori Intel. Vale la pena di soffermarsi ad analizzare cos’è successo in questo periodo.
Partiamo dall’annuncio e dalle motivazioni che hanno portato Apple a questa drastica decisione, facendo qualche passo nel passato. L’obsolescenza del processore G4 e i suoi limiti di sviluppo si fecero sentire quasi subito, e stavano diventando insostenibili quando, nell’estate del 2003, Jobs fece la sua comparsa sul palco della WWDC per annunciare il G5, un processore a 64 bit derivato dal processore Power4 di IBM che apriva nuovi orizzonti ai futuri Mac.
I PPC-G5 vennero da subito adottati sui PowerMac (la cui architettura fu completamente riprogettata) nelle versioni fino a 2 GHz, e Jobs promise per l’anno successivo il superamento dei 3 GHz e l’introduzione di una versione a basso consumo energetico per i portatili. I problemi di sviluppo dei G5 si fecero però sentire già dagli inizi, con difficoltà nel processo produttivo e conseguenti ritardi sulle consegne delle macchine Apple. A due anni di distanza, sebbene fosse stata introdotta una versione dual-core, i 3 GHz erano ancora lontani e la più volte annunciata versione per portatili era ancora un mito.
A quel punto non si poteva più aspettare, e Jobs tirò fuori da una stanza segreta di Cupertino una versione di Mac OS X già compilata per i processori x86 , versione di cui più volte si era sentito fantasticare in passato. Per agevolare il lavoro degli sviluppatori venne rilasciata da subito una nuova versione di Xcode in grado di compilare software in Universal Binary (ovvero eseguibili in grado di girare nativamente sia su architettura PPC che su Intel).
Per chi non aveva sviluppato il proprio software con Xcode, il lavoro diventava più gravoso, ma per venire incontro agli utenti nel periodo di transizione, nella versione x86 di Mac OS X venne introdotta Rosetta, un traduttore dinamico di codice in grado di eseguire il software per PPC su processori Intel (anche se più lentamente e con alcune limitazioni). Fu messo subito in chiaro che Apple avrebbe fatto di tutto per impedire l’installazione di Mac OS X su hardware che non fosse un Macintosh, mentre non ci sarebbe stato alcun impedimento – ma, come precisarono i dirigenti di Apple, neanche nessuna facilitazione – all’installazione di Windows sui nuovi Mactel.
Gli utenti si divisero subito tra favorevoli e contrari, ma quasi tutti erano concordi sul fatto che la scelta era quasi inevitabile. Gli argomenti di discussione non mancavano : perché Intel e non AMD? Perché un unico fornitore di processori? Quali sarebbero state le prime macchine a cambiare architettura? Le nuove macchine sarebbero state realmente migliori? Quale sarebbe stato il futuro di Mac OS X?
La scelta di Intel piuttosto che AMD è stata fatta valutando la roadmap di sviluppo dei processori per gli anni a venire, con un occhio di riguardo sulle tecnologie legate ai portatili. La scelta di un unico fornitore probabilmente risiede nel modo in cui Apple interagisce con i propri collaboratori. Apple è abituata a collaborare attivamente con chi sviluppa i processori delle proprie macchine, tanto che il PPC era sviluppato in una sorta di consorzio a tre che comprendeva Apple, IBM e Freescale (ex branca di Motorola), consorzio dal quale dovremmo escludere Freescale se parliamo di G5, processore esclusivo di IBM.
Il cambio di architettura non ha modificato le abitudini di Apple, che dialoga attivamente con Intel proponendo idee e soluzioni per i nuovi processori, ma probabilmente sarebbe impensabile pensare di collaborare in questo modo e nello stesso momento con due acerrimi concorrenti. Inoltre, scegliendo un unico fornitore si possono acquistare volumi maggiori, ottenendo dei prezzi migliori e avendo una maggiore importanza come clienti (allo stato attuale delle cose pare che Apple riesca ad ottenere da Intel un trattamento persino migliore di quello di un colosso dei PC come Dell). Sebbene questo punto di vista non sia condiviso da tutti, sotto questo aspetto la scelta di Apple di rivolgersi ad un unico fornitore sembra più che sensata; inoltre la scelta dell’attuale fornitore unico non pregiudica eventuali ripensamenti futuri, con cambiamenti che sarebbero pressoché trasparenti finché si resta nel campo dell’architettura x86.
Nel frattempo Apple spedì agli sviluppatori interessati il primo developer kit basato su architettura Intel, in modo tale che il software per le nuove macchine fosse pronto il prima possibile. Con una versione x86 di Mac OS X in circolazione (seppur in versione preliminare) cominciarono i tentativi di crack mirati ad utilizzare il sistema operativo della Mela su hardware generico, e di pari passo cominciarono le contromisure di Apple volte ad evitare questa cosa. Forse Apple darà un giro di vite alla questione nel momento in cui uscirà Leopard, prima release di Mac OS X ufficialmente pensata anche per macchine x86.
Mentre lo sviluppo di applicazioni Universal Binary muoveva i suoi primi passi, l’annuncio del cambio di architettura creò da subito un effetto di attesa, ovvero un rallentamento delle vendite di alcune fasce di prodotto che forse Apple aveva sottovalutato, ma che affrontò a viso aperto. I prodotti colpiti dal calo di vendite erano ovviamente i migliori candidati ad inaugurare la transizione (in particolare tutte le macchine con processore G4), ma nessuno notò che il nuovo iMac-G5 presentato in autunno (quello con telecamera integrata) presentava un’inattesa rivisitazione della disposizione interna dei componenti, rivisitazione che solo qualche mese più tardi rivelò la sua vera natura preparatoria verso l’imminente transizione. Nello stesso periodo venne rilasciato anche un aggiornamento della linea PowerBook, e l’assenza di novità sostanziali dal punto di vista del processore (in molti si aspettavano l’adozione di un G4 dual core) lasciava presagire che l’arrivo dei primi Mactel poteva essere più vicino di quanto pronosticato inizialmente.
Il Macworld Expo di inizio 2006 ha segnato il momento di svolta per Apple: con mesi di anticipo rispetto a quanto annunciato nel giugno dell’anno precedente, Apple lanciò sul mercato le sue prime macchine con processore Intel, nella fattispecie un Core Duo.
Se l’introduzione del nuovo processore nei portatili professionali poteva essere una mossa prevedibile, l’iMac-Intel giunse un po’ inatteso. In ogni caso, consapevole del fatto che il software Universal Binary scarseggiava ancora (e anche per smaltire le scorte a magazzino), Apple lasciò l’iMac-G5 a listino per un altro mese, e il vecchio PowerBook fino ad aprile. Parlando in maniera più dettagliata dei portatili, il nuovo MacBook Pro (questo il nome scelto per identificare i nuovi portatili) venne solo presentato, ma per la sua disponibilità fu necessario attendere il mese successivo , il che non era un male visto che lo stesso software professionale di Apple sarebbe stato disponibile in versione Universal Binary solo nel mese di marzo. Discorso diverso per il software consumer, in particolare per la suite iLife data in bundle con le macchine: già pronta in versione Universal Binary, assicurava prestazioni doppie sull’iMac-Intel rispetto all’iMac-G5, e fino a 4 volte superiori sul nuovo MacBook Pro rispetto al vecchio PowerBook-G4. Ovviamente, trattandosi di architetture e processori differenti, l’incremento di prestazioni era molto variabile a seconda dell’ambito di applicazione, tanto che l’iMac-G5 (anche in seguito ad un abbassamento dei prezzi) per qualche tempo risultò ancora un acquisto molto conveniente.
Cogliendo l’occasione del rinnovamento, il MacBook Pro integrava una telecamera nel bordo superiore ed era dotato di telecomando per l’utilizzo di Front Row, esattamente come nell’iMac. Inizialmente fu interessato dalla transizione solo il modello da 15″ (che affiancava, senza sostituire, il vecchio modello), mentre il 12″ e il 17″ restavano a listino in versione PPC-G4. Quest’ultima osservazione, unitamente al fatto che il MacBook Pro sarebbe stato disponibile solo a fine febbraio, stava ad indicare che Apple aveva fatto le cose di corsa: l’occasione di mostrarsi attiva sul mercato e di essere tra le prime aziende ad adottare i nuovi processori Intel non poteva essere mancata, e forse fu proprio per questo motivo che tra le prime macchine ad effettuare la transizione fu scelto l’iMac, macchina simbolo di Apple e di grande impatto sul pubblico consumer. La mossa, come abbiamo evidenziato sopra, era stata preparata per tempo: la struttura interna della macchina era infatti già stata modificata in modo tale da accogliere un processore differente senza apportare ulteriori modifiche.
La reazione degli utenti fu mediamente positiva, anche se non mancavano gli interrogativi : perché montare sull’iMac un Core Duo quando si poteva mettere un G5 dual-core, sicuramente più potente? (forse il G5 dual-core avrebbe dato problemi di dissipazione del calore, ma in questo modo si rinunciava anche ai 64 bit). Ma soprattutto, quali macchine conveniva comprare? I vecchi modelli con processori PPC, testati ed affidabili ma destinati a diventare vecchi nel giro di un anno, oppure i nuovi Mactel, potenzialmente più veloci ma in realtà ancora limitati dalla scarsità di software in Universal Binary e con possibili problemi di gioventù legati al cambio di architettura?
Sull’iMac il dubbio venne sciolto molto presto in seguito all’uscita dai listini, avvenuta nell’arco di un mese, del modello con G5. Per una macchina professionale come il MacBook Pro la situazione era però più delicata e ambigua: da un lato c’erano i commenti positivi sulle prestazioni, dall’altro venivano evidenziati alcuni difetti più o meno fastidiosi (eccessivo riscaldamento e un ronzio avvertibile in determinate situazioni di carico di due core della CPU). Ma la cosa peggiore per Apple fu che, una volta iniziata la transizione, tutti gli utenti restarono in attesa delle altre macchine Intel, rallentando ulteriormente le vendite di Mac mini e iBook.
Contestualmente si aprì un’altra questione: sui nuovi Mac con processori Intel si poteva installare anche Windows? I nuovi Mac basati su architettura Intel avevano la particolarità di fare il boot tramite EFI, e non tramite BIOS: Windows supporta questo di tipo di boot solo nella versione a 64 bit, ma i Mactel basati su Core Duo sono a 32 bit. Apple inizialmente non diede alcun supporto in merito, quindi si aprì un contest , con tanto di premio in denaro, per chi fosse riuscito a risolvere il dilemma e ad installare Windows nativamente sui nuovi Mac. La soluzione arrivò dopo molte settimane e diversi tentativi, ma poco dopo Apple rilasciò la beta pubblica di Boot Camp , un software che sarà integrato in Leopard e che fornisce tutto il necessario per installare Windows in pochi passi: creare una partizione ad hoc, creare un CD con i driver, installare Windows sulla nuova partizione, installare i driver.
Prima di Boot Camp, Apple rilasciò sul mercato altre macchine Intel: dopo l’iMac e il MacBook Pro da 15″ fu la volta del nuovo Mac-mini Intel-based . Qualche perplessità accompagnò l’arrivo di queste nuove macchine: prezzo più alto, adozione di un processore ad un solo core nel modello base, e chipset grafico integrato nella scheda madre con memoria video condivisa. In realtà, vuoi per l’attesa che si era creata, vuoi per le dotazioni di base comunque più ricche (Wi-Fi, Bluetooth 2, e telecomando per Front Row integrato) i nuovi Mac-mini ricossero da subito un buon successo di pubblico.
È stata poi la volta del MacBook Pro da 17″ , che rispetto al modello da 15″ implementava alcune piccole migliorie che incontrarono il favore degli utenti. Il lancio di questo portatile segnava la fine dei PowerBook G4, definitivamente ritirati dal listino, compreso il modello da 12″, che attualmente non è ancora stato rimpiazzato da nulla di equivalente.
Ad aprile la transizione era già arrivata a buon punto, ma mancavano ancora due pezzi forti, ovvero il portatile “consumer” e la fascia professionale delle macchine desktop (Xserve inclusi). Per quanto riguardava la sostituzione dell’iBook, era ormai chiaro a tutti che era questione di poche settimane: Apple non poteva permettersi di perdere un periodo buono come quello del termine delle scuole, e dal punto di vista tecnico il sostituto dell’iBook non sembrava costituire grossi problemi.
La sostituzione dei PowerMac G5 era invece più problematica: tralasciando le solite considerazioni sul software Universal Binary e l’emulazione di Rosetta, i Core Duo non erano sufficientemente potenti per sostituire i dual-G5, anche perché non supportando l’architettura multiprocessore, non avrebbero potuto in alcun modo prendere il posto del PowerMac Quad G5, senza considerare il fatto che utilizzare i Core Duo avrebbe significato ritornare a 32 bit. Nell’attesa di avere dei processori Intel adeguati, a maggio uscirono i MacBook , sostituti dell’iBook, e in questo caso il parere degli utenti è stato mediamente positivo: il MacBook è stata la macchina che ha subito maggiori cambiamenti, con un display lucido da 13″ wide (prima era 12″ o 14″ nel canonico formato 4:3), un nuovo tipo di tastiera, iSight integrata, un nuovo colore, e tanti altri dettagli, come il sensore di accelerazione preso in prestito dai fratelli maggiori. Tra le critiche, il fatto che MacBook adotta una scheda video integrata, più potente della scheda adottata sui precedenti iBook, ma che utilizza la memoria condivisa; inoltre anche in questo caso la prima serie di modelli non è stata esente dai difetti, seppur solo estetici ( problemi di scolorimento della plastica bianca di una determinata serie, oggetto di un programma di sostituzione di Apple). Nonostante ciò, il MacBook ha avuto un successo tale da trainare Apple nel suo secondo miglior trimestre fiscale di sempre, aumentando l’interesse attorno all’azienda a breve distanza dall’inizio della WWDC.
A fine giugno Intel lancia ufficialmente sul mercato i primi processori Xeon basati sull’architettura Core, la serie 5100 , chip dual-core a 64 bit con 4 MB di cache L2 e supporto al multiprocessing. Per Apple era arrivato il momento giusto di aggiornare anche i suoi desktop professionali: non è stato un caso, infatti, il posticipo della WWDC dal tradizionale periodo di inizio giugno al mese di agosto, un posticipo che lasciava ad Apple tutto il tempo di preparare le nuove macchine ed immetterle sul mercato il giorno stesso dell’annuncio. I MacPro , questo il nome scelto da Apple per le workstation equipaggiate con i processori Xeon, si presentano agli utenti Apple sotto una veste abbastanza inusuale: il modello è uno solo, ma presenta innumerevoli possibilità di personalizzazione. Ferma restando la configurazione con doppio Xeon dual-core, per la prima volta viene lasciata la possibilità di scegliere il clock del processore, mentre in maniera simile al passato vengono offerti diversi modelli di scheda video (anche con capacità di pilotare due monitor da 30″) e altro ancora, come la possibilità di arrivare a 2 TB di capacità di archiviazione, con quattro dischi rigidi da 500 GB.
Parlando di prestazioni, i nuovi nati sono sì più potenti dei vecchi PowerMac-G5, ma non in maniera così eclatante com’era successo sulle macchine precedenti, e sicuramente non sufficiente per compensare l’utilizzo di Rosetta, ove richiesto. Anche per questo motivo Apple ha lasciato a listino i “vecchi” Quad-G5, scelta obbligata per chi necessita di prestazioni al top ma non può ancora contare su applicazioni Universal Binary.
Il MacPro ha però un grande vantaggio rispetto al PowerMac-G5: con configurazioni pressoché simili costa circa 1.000 euro in meno. Contestualmente all’uscita dei MacPro, Apple ha concluso la transizione migrando ad Intel anche con i suoi server, anche se la disponibilità di questi è stata annunciata solo per i mesi successivi.
Cosa possiamo aspettarci per il futuro? Se in passato le nuove uscite di Apple erano scandite dai capricci di chi produceva i processori PPC, da oggi in poi le cose cambieranno radicalmente: Intel ha delle roadmap ben precise e una struttura in grado di rispettarle, ed Apple si è finora dimostrata pronta ad accogliere ogni nuova novità tecnologica. È lecito quindi aspettarsi aggiornamenti più frequenti delle macchine per adottare le più recenti soluzioni Intel, come i processori Core 2 Duo che potrebbero presto trovare posto proprio nelle prime macchine ad aver effettuato la transizione (iMac e MacBook Pro). Se poi entro la fine dell’anno Intel rilascerà dei processori a quattro core, allora all’inizio del prossimo anno potremmo assistere anche all’aggiornamento dei MacPro.
Domenico Galimberti
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