Già diverse volte in passato è emerso il fenomeno del Google bombing , ossia quelle attività che cercano di far salire nei risultati di Google dei contenuti “scomodi” associati ad un determinato nome. Dopo il “miserable failure” dedicato a Bush anche in Italia abbiamo avuto il “miserabile fallimento” pensato per Berlusconi e che ora vede svettare la biografia di Prodi.
Il Google bombing ogni tanto torna a galla e questa volta per via di una sistematica azione fatta negli Stati Uniti dal partito Democratico a scapito degli esponenti Repubblicani. Ne ha scritto il New York Times (occorre registrarsi, gratuitamente) ed è stato ripreso anche dall’ ANSA . Interessante leggere l’esplicito invito ad organizzare il sistema da parte di Daily Kos (8° blog al mondo per numero di link secondo Technorati).
Bellissima la battuta di una mia amica di New York che ha un’agenzia di search marketing e che ieri mi ha scritto:
“Finalmente le nostre tasse producono qualcosa!” (riferendosi al fatto che i politici iniziano ad usare massicciamente le agenzie come le nostre).
Invero, mettere in piedi un Google bombing non ha particolare senso e, per contro, espone a diversi rischi di immagine e tecnici. La riflessione che volevo fare riguarda invece l’importanza che ha ormai assunto ciò che compare nei risultati dei motori di ricerca, non solo in termini traffico ai siti elencati, ma dell’influenza degli stessi riguardo gli argomenti cercati. Anche nel mio articolo sul search marketing per il pamphlet di IAB, sottolineo come la presenza nelle posizioni di testa risulta agli occhi degli utenti come una specie di “validatore” della qualità dei siti trovati, trasformando Google, Yahoo! e gli altri search engine, in garanti di ciò che è importante sapere.
Non è un discorso nuovo, ma l’utilizzo globale dei motori di ricerca rende l’argomento di continua attualità. E per un’azienda come la mia che si occupa di visibilità online, è sempre più frequente collaborare a progetti che partono proprio dall’esigenza di controllare i risultati delle ricerche sui brand o sui nomi dei dirigenti dell’azienda.
Sarebbe bene però che non ci si limitasse a guardare solamente le azioni che cercano di influenzare i risultati.
Quello su cui ogni tanto varrebbe la pena riflettere è che, a mio avviso, i principali motori di ricerca probabilmente sanno già chi vincerà le elezioni: basta che analizzino con cura le richieste che ricevono a milioni ogni giorno. Non solo: è tecnicamente banale immaginare un filtro che possa orientare i risultati inerenti ad argomenti sensibili in un senso o in un altro. Non credo che questo accada, né voglio fare dietrologia. Mi chiedo solo fino a quando le lobby che già influenzano l’ agenda setting dei “mainstream media” non arriveranno pure ai search engine, evolvendo così quello che oggi è solo un po’ di bombing .
Mauro Lupi
Mauro Lupìs Blog
Nota: Mauro Lupi è co-fondatore e presidente di Ad Maiora