Il busillis di molti osservatori sul fronte pirateria per la prima volta giunge in un documento ufficiale: un rapporto confidenziale destinato all’ufficio del procuratore generale australiano e preparato dall’ Istituto australiano di criminologia pone seri dubbi sulle cifre che le major sventolano quali “danni causati dalla pirateria”. Cifre che vengono utilizzate per attività di lobbying e denunce civili e penali.
Il rapporto prende di mira in particolare il modo in cui l’industria del software e della musica calcola le perdite subite a causa delle attività dei pirati. Spiega ad esempio che i 361 milioni di dollari all’anno in mancati profitti denunciati da BSA , l’Alleanza dei produttori di software proprietario, sono cifre “non verificate ed epistemologicamente inaffidabili”.
Lo studio in sé non è definitivo ed anzi sarà probabilmente rivisto e corretto, ma per la prima volta getta l’amo a livello istituzionale su una questione centrale: come vengono calcolati i danni della pirateria? Quanto sono attendibili le stime delle perdite? A chi giova utilizzare cifre non verificate per spingere a nuove normative o aggravare la posizione processuale di chi viola la proprietà intellettuale?
Intanto sia BSA che IFPI , la federazione internazionale dei fonografici, fanno sapere che le cifre sono più che valide, sono il risultato di studi effettuati localmente o sui media interessati incrociati con altre fonti che, stando a The Australian , sono però diffidenti dal rendere pubblici per timore di avvantaggiare pirati e competitor industriali.
Tutto il caso tirato fuori dal quotidiano australiano è disponibile a questo indirizzo (in inglese)