“Mi riferisco a quei ragazzi che hanno picchiato il compagno di classe down, episodio, in qualche modo, collegato al commercio di alcuni videogame (..) Un caso analogo è accaduto a Ferrara: anche grazie ad un recente videogame che consiste nel picchiare i compagni di scuola, molti giovani si sono comportati in questo modo”.
Così ieri il deputato dell’UDC Luca Volonté è intervenuto alla Camera dove si sta discutendo la Finanziaria, per chiedere che il Governo faccia sapere subito cosa intenda fare dinanzi al “commercio dei videogiochi violenti che ispirano alla violenza i nostri giovani teenagers”. Volonté chiede che questo commercio sia “troncato e limitato nel nostro paese”.
Dopo le botte allo studente down e dopo un lungo articolo apparso su Panorama , annunciato da una copertina shock (“Vince chi seppelisce la bambina”), riproposto in rete, le polemiche sulla vendita in Italia di videogiochi violenti ed horror arrivano in Parlamento, con toni ed accenti che ricordano da vicino i dibattiti d’Oltreoceano sui videogame in seguito alla strage della Columbine High School di Denver.
D’altra parte esponenti del Governo, come il ministro all’Istruzione Beppe Fioroni , si sono già espressi in modo non dissimile da Volonté. Ma la sensazione che Governo e Parlamento possano muoversi all’unisono nella direzione di un giro di vite si rafforza con l’ intervista rilasciata dal presidente della Commissione bicamerale per l’Infanzia, Anna Serafini (DS): ha annunciato che lavorerà per una indagine approfondita sui videogiochi, spiegando che non ha senso bloccare un videogioco quanto piuttosto chiedere che certi titoli non raggiungano proprio il mercato.
A mo’ di esempio di titoli da bandire viene preso, dal celebre settimanale così come da Volonté, il gioco Rule of Rose , già venduto sul mercato giapponese. Un titolo che esperti del mondo videoludico bollano come “disturbante” e nel quale “non vi è nulla di moralmente accettabile”. Un gioco così controverso da aver spinto Sony, che lo distribuisce, a dichiarare che quel titolo non sarà distribuito in Italia perché “inadatto”, in quanto “il comune senso del pudore in Giappone è diverso da quello europeo” (si veda a questo proposito l’ intervista agli autori del gioco pubblicata da Gamasutra.com ).
Eppure si tratta di un titolo che in Italia, così come negli altri paesi dove è stato fin qui commercializzato, può essere venduto solo a chi ha più di 16 anni. Sebbene possa comunque finire nelle mani di giocatori più giovani, una censura a monte di titoli di questo tipo equivarrebbe, secondo molti, a togliere agli italiani la libertà di scelta .
Non è un caso, come segnala Alessandro Longo in un post indignato sul suo blog, che stia montando una forte polemica contro le tentazioni censorie . Diego Malara , giornalista di settore, attacca l’articolo di Panorama e spiega : “qui purtroppo lo si fa in modo superficiale, con un articolo che indugia morbosamente sul “dark side” dell’industria videoludica senza considerare che i giochi violenti o semplicemente “maturi” rappresentano solo la minima parte di un mercato florido di idee e produzioni come nessun altro”. E insiste: “Rule of Rose in Giappone è stato un flop assoluto: poche decine di migliaia di copie in un paese in cui si vendono tre milioni di esemplari di Brain Training, il gioco per tenere in forma il cervello. L’errore è considerare i videogiochi un misterioso sistema di indottrinamento a discipline eversive di varia natura. La realtà è che la maggior parte dei videogames non insegna nulla, è solo entertaiment, materiale d’evasione al pari di film, reality show e romanzi d’avventura”.
Rincara la dose il blog Echi dalla Villa : “Non esprimerò commenti, per ora, sul falso moralismo della censura italiana, che pretende di contenere con l’ignoranza fenomeni di violenza e perversione. D’altronde, in Giappone non si sente spesso parlare di branchi che stuprano minorenni… capiterà anche laggiù, naturalmente, mai pensato che i giapponesi siano normali. Tuttavia… non so se questa sia la strada giusta per creare un mondo migliore, o piuttosto per fomentare una pirateria che non ha bisogno di ulteriori stimoli per prosperare”.
Come ben sanno i lettori di Punto Informatico, negli anni si sono susseguiti vari studi secondo cui i videogame violenti sono dannosi e altri invece che smentiscono questa tesi, fino ad altri rapporti che evidenziano i benefici dei videogame per la didattica. Il tutto condito da partiti dei videogiocatori , sentenze che dichiarano la produzione videoludica una forma d’arte e clamorose decisioni di censura ad alzo zero contro determinati titoli. Come se ne esce? Per ora Sony, come accennato, ha optato per l’auto-censura.