L’intelaiatura del “web che pensa”, l’infrastruttura di rete che sta nascendo grazie ai progetti collaborativi e all’organizzazione sempre più raffinata di idee e contenuti chiamata Web 2.0 , trova un alleato prezioso nel crescente utilizzo dei tag per la classificazione dei suddetti contenuti . Che siano le nuvole semantiche di Flickr o i tag descrittivi dei video di YouTube poco importa: recenti stime indicano che il fenomeno è in crescita, e qualcuno parla di una opportunità unica per organizzare il web e le sue risorse.
Ne fa una stima la ricerca di mercato di Pew Internet & American Life Project : nel rapporto appena pubblicato (in formato PDF), l’osservatorio dell’impatto di Internet sulle famiglie e le comunità americane stima che, nel corso di dicembre 2006, il 28% dei netizen ha fatto uso di tag , etichette e catalogazioni più o meno specifiche di contenuti on-line come foto, video, news o entry di blog. In un giorno di connessione tipico, il 7% degli utenti sostiene di dedicarsi a questa opera di classificazione.
La ricerca, basata su interviste online e telefoniche, mette poi in evidenza come giudicare la pratica del tagging sia in realtà più complesso di quel che sembra: alcuni siti, sostiene la società, permettono di catalogare i contenuti in maniera così semplice che gli utenti non sono consapevoli di stare in realtà partecipando alla costruzione del segno caratteristico del Web 2.0. Una pratica talmente vitale che, anche se fosse condotta da un numero minimo di internauti, rappresenterebbe un appiglio prezioso per chi cercasse informazioni e contenuti basandosi esclusivamente su di essa.
È quello che ad esempio sostiene Dave Weinberger sul suo Joho the Blog : anche se i dati della ricerca fossero erronei di un ampio margine, sostiene il celebre tecnologo, e se ci fosse solo l’1% dei netizen impegnato regolarmente nella preziosa opera di etichettare e classificare semanticamente i contenuti, questo lavoro verrebbe utilizzato dal restante 99%. Costituendo, nei fatti, una base di innovazione talmente importante da far volare la crescita del nuovo web.
Che passino il tempo a classificarli o meno, i cittadini degli States sono comunque sempre più assorbiti dai contenuti disponibili sui diversi mezzi di comunicazione : secondo una ricerca di Veronis Suhler Stevenson , si prevede che nel corso del 2007 l’americano medio passerà fino a 3.518 ore guardando la televisione, giocando ai videogame o navigando in rete, contro le 3.333 ore spese nel 2000. I media elettronici, il divertimento interattivo e naturalmente la rete gioveranno del maggior incremento di dedizione, ma i vecchi media, come la tv generalista e la carta stampata rimarranno sostanzialmente stabili.
È insomma l’ennesima conferma del fatto che Internet non sta uccidendo i mezzi di comunicazione del 20esimo secolo: piuttosto, gli indaffaratissimi coevi stanno cercando di barcamenarsi tra le voci plurali dei vari canali a disposizione, in una sorta di approccio multitasking (come quello che i sistemi operativi usano per far girare più applicazioni contemporaneamente) che permetta loro di usare più media nello stesso momento.
Emerge tra gli esperti qualche preoccupazione sulla perdita di attenzione che può essere causata dal bailamme ludico/informativo, o l’aumento di stress che potrebbe provocare: qualcuno si spinge a dire che la quantità di dati è tale che l’adattamento ad essa impedirà, in un futuro prossimo, di dedicare un coinvolgimento reale nell’utilizzo dei media .
Alfonso Maruccia