Cina, al bando il denaro virtuale

Cina, al bando il denaro virtuale

Pechino intende controllare le economie virtuali: la valuta elettronica incoraggia il riciclaggio, l'evasione e legittima l'uso di servizi illegali. Intanto Washington fa sapere di ritenere la Cina un nemico di Internet
Pechino intende controllare le economie virtuali: la valuta elettronica incoraggia il riciclaggio, l'evasione e legittima l'uso di servizi illegali. Intanto Washington fa sapere di ritenere la Cina un nemico di Internet

Pechino – Le economie virtuali sono incontrollabili. Per questo motivo il governo cinese ha deciso arginare la circolazione dell’impalpabile e-denaro, un tipo di “valuta” sempre più diffuso online in molti diversi ambienti.

Il provvedimento, segnala Associated Press , colpisce soprattutto QQ Coin , un servizio apparentemente innocente offerto dal maggiore operatore di instant messaging per la Cina, Tencent . 220 milioni di utenti registrati all’instant messenger QQ, dal 2002, possono acquistare per uno Yuan, dieci centesimi di Euro, un ” QQ gettone “. Gettoni che si possono guadagnare anche totalizzando punteggi apprezzabili con i giochi offerti da Tencent. Una valuta da spendere in vestiti per gli avatar , add-on per personalizzare i servizi di messaggistica, suonerie.

Quel che più preoccupa le autorità della Repubblica Popolare è l’ economia sommersa che inizia a fervere, nella quale i QQ Coin sono la valuta scambiata. Stanno emergendo servizi, indipendenti da Tencent, che offrono conversazioni erotiche con ” avataresse ” gaudenti, o anche gioco d’azzardo. Due attività illegali in Cina, che, nella loro versione online, riescono ad aggirare la legge facendo leva sul fatto che non avvengono scambi di denaro, di denaro ufficiale. Sempre più sono inoltre i servizi che vendono beni reali, tangibili, in cambio di un corrispettivo in QQ Coin , non tassabile. Queste attività non possono che compiacere Tencent: in un paese dove le carte di credito stentano ad attecchire, costituiscono un motivo in più per cui le persone potrebbero voler fruire di QQ e acquistare la valuta virtuale.

Ecco che, aumentando sempre più i servizi da scambiare con questa valuta elettronica, i QQ Coin vengono utilizzati per pagare operatori di forum e moderatori. Ci sono inoltre persone che trasformano i giochi online in un’attività professionale, convertendo i punteggi in preziosi QQ gettoni, mentre c’è chi si specializza nell’intrusione in account altrui per impossessarsi dei patrimoni elettronici degli altri utenti. Qualcuno azzarda addirittura che ciò avvenga con l’avallo di Tencent. Il tutto per la gioia di ricettatori di moneta virtuale, che acquistano QQ Coin “sporchi”, per rivenderli ad un prezzo inferiore rispetto a quello fissato da Tencent.

Online circolano fiumi di denaro virtuale, che sfuggono al controllo della Banca Centrale e dell’Erario e rischiano di minacciare il valore della moneta ufficiale. Già a novembre dello scorso anno, riportava l’agenzia di stampa governativa Xinhua , montava la preoccupazione presso le autorità cinesi. L’azione non si è fatta attendere: ora il denaro elettronico è illegale, se non per le transazioni all’interno dei giochi virtuali.
Il giro di vite riguardo alle economie virtuali non è che l’ultima mossa delle autorità, nel quadro di un paese retto mediante il controllo più ferreo. L’ultima denuncia in questo senso proviene dal Dipartimento di Stato americano, nel report annuale che monitora lo stato di rispetto e violazione dei diritti umani nel mondo.

Sono 140 milioni gli utenti Internet cinesi, si legge nel report. Il governo cinese incoraggia l’uso della Rete, e, al tempo stesso la tiene sotto scacco, con controlli estensivi e censura .

Il controllo e filtraggio dei contenuti che circolano online, con la complicità dei motori di ricerca , occidentali e locali, e degli ISP, sono la routine approntata per evitare che qualche avventato netizen scavalchi la grande muraglia digitale.

La libertà di espressione è annichilita da registrazioni obbligatorie per i servizi di blogging e da arresti a tappeto.

La libertà di informarsi non versa in condizioni migliori: l’accesso ad Internet dai locali pubblici richiede l’identificazione, i log sono monitorati, le comunicazioni private vengono intercettate, scatta l’allarme se vi si avverte la minima sfumatura sovversiva. I media tradizionali, le radio che trasmettono dall’estero sono spesso ridotti al silenzio da radiointerferenze, il blocco dello streaming da Internet è una prassi consolidata.

I media ufficiali, si legge nel report americano, sono invece investiti di un ruolo fondamentale: bussola per il popolo, fungono da guida per l’opinione pubblica.

Questa loro “funzione” emerge nettamente nella replica con cui la Cina ha controbattuto al documento americano. Pubblicato integralmente da Xinhua , l’agenzia di stampa governativa, Il Rapporto sui diritti umani negli Stati Uniti nel 2006 tenta di fare le pulci agli USA. Ma, puntiglioso riguardo a certe policy statunitensi, il documento non spende una parola riguardo a Internet e alla libertà di espressione.

Gaia Bottà

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Pubblicato il 9 mar 2007
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