Roma – No, CYA non è un errore di battitura né una inedita TLA (Three Letter Agency – agenzia a tre lettere), acronimo usato negli Stati Uniti per indicare agenzie governative di vario tipo. CYA sta semplicemente per “Cover Your Ass”, letteralmente “Parati il c..o”. Questo detto, universalmente vero e praticato al massimo grado da molti dipendenti delle mega-aziende, almeno di quelle simili all’archetipica impresa di fantozziana memoria, è valido anche nel funzionamento di organizzazioni pubbliche o politiche.
Senza affrontare i problemi legati alla ricerca del consenso a tutti i costi, traiamo spunto dall’ultimo numero della newsletter Crypto-Gram dell’ottimo Bruce Schneier, riassumendone per prima cosa il contenuto.
Schneier affronta la questione delle misure di sicurezza antiterrorismo, suo principale cavallo di battaglia quando esercita il mestiere di fustigatore di costumi. La sua posizione è che la marea di soldi che vengono spesi pubblicamente per le misure antiterrorismo post 11/9 condividono la caratteristica di essere:
– totalmente inefficaci contro pericoli imprevedibili ed asimmetrici come quelli terroristici
– rassicuranti dimostrazioni di impegno nei confronti del pubblico
– ottimi argomenti difensivi da portare a propria discolpa dopo il prossimo attentato
Condivido con Schneier la netta sensazione che la terza componente, quella CYA (o la traduciamo PIC?) sia quella prevalente oggidì.
L’altro ieri, durante una trasmissione di attualità politica (o sarebbe meglio dire salotto?) in cui, commentando il collasso finanziario pilotato a cui sta andando incontro il sistema italiano nazionale di comunicazioni, gli ultimi due ministri delle Comunicazioni si rimpallavano accuse varie di responsabilità tecniche, manageriali, finanziarie e politiche. Su una cosa erano pero’ abbastanza d’accordo: che lo scorporo delle infrastrutture di telecomunicazioni, od almeno dell’ultimo miglio di esse, fosse una cosa necessaria e che doveva essere ovviamente già stata fatta. Da chi, visto che i due interlocutori avrebbero per ruolo dovuto essere i timonieri degli ultimi sette anni su questa questione, non è dato sapere, non è stato detto, od almeno io non l’ho capito.
Oggi che siamo in fase di (s)vendita di Telecom Italia, il rischio è che questo scorporo non si faccia, perdendo il controllo di una infrastruttura critica che paesi più seri del nostro non hanno mai pensato di dar via, oppure che lo si faccia, ma pagando per la terza volta gli stessi impianti.
Ipotesi? È bene ricordare che gli apparati di Telecom Italia sono stati pagati prima con i soldi dei clienti e/o dei contribuenti quando la telefonia era un monopolio, poi affossando due terzi del valore azionario dell’azienda dopo la privatizzazione, e forse adesso lo saranno nuovamente se, come anche adesso riterrei consigliabile, lo Stato tratterrà la proprietà od almeno il controllo dell’ultimo miglio.
In questa situazione gli attori più importanti sono impegnati a cercare di trarne il massimo vantaggio, ma tutti, grandi e piccoli, sono impegnati a PIC. Il loro, però, non il nostro. Quello avremmo dovuto imparare a P da soli.
Marco Calamari
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