Prospettive tra il fantascientifico e il post-moderno sono quelle raccontate dal Guardian , circa un progetto di ubiquitous computing dalla portata senza precedenti in via di collaudo nella metropoli di Tokyo : distribuire una fitta rete di sensori e chip RFID in grado di informare dettagliatamente, in tempo reale e in totale comfort, chi per qualsivoglia motivo si trovasse a dover affrontare la labirintica complessità della città.
Quale zona migliore per la sperimentazione della prima, vera sovrastruttura intelligente di computing cittadino distribuito di Tokyo, una delle aree metropolitane più densamente popolate del pianeta, che con i suoi oltre 12 milioni di abitanti – il 10% dell’intero Giappone – arriva a produrre un PIL pari a quello della nazione francese (1.400 miliardi di dollari)? A dispetto della sua complessità strutturale, la città getta nello sconforto i visitatori stranieri e pone difficoltà agli stessi residenti perché percorsa da strade letteralmente senza nome .
In uno scenario siffatto, il progetto Tokyo Ubiquitous Network Project mira proprio ad abbattere quello sconcerto e le difficoltà di spostarsi in città per chiunque: finanziato dal governo giapponese, il piano è capitanato da Ken Sakamura, professore della University of Tokyo , che lo descrive come lo sforzo di realizzare “una infrastruttura per il ventunesimo secolo”. Una infrastruttura in cui sarà il territorio a guidare i cittadini, a informarli e ad accompagnarli in una complessità che ha assunto tratti che di umano han ben poco.
I piani iniziali prevedono l’utilizzo del fax, una tecnologia largamente diffusa ed economica in Giappone, per inviare mappe e indicazioni di direzione ai visitatori, ma l’obiettivo finale è la possibilità di interrogare e farsi portare per mano dai dispositivi intelligenti sparsi nei pali della luce o affogati nel cemento delle costruzioni per mezzo di PDA, smartphone e cellulari. Le prime sperimentazioni hanno visto proprio la consegna di trasmettitori simil-PDA a reporter e turisti, che sono poi stati lasciati liberi di esplorare questo nuovo mondo di chip e grattacieli parlanti.
Il primo test della tecnologia onnipresente e iper-comunicativa ha visto la copertura del famoso distretto commerciale di Ginza : sono state utilizzate solo un migliaio di “etichette intelligenti”, e pur tuttavia il costo ha sfiorato addirittura il miliardo di yen, vale a dire quasi 6,3 milioni di euro. Con un inizio del genere, si prospetta che i costi di installazione e manutenzione di una infrastruttura davvero ubiqua ammonteranno alla fine a svariati trilioni di yen. Tanto che il professor Sakamura sostiene l’importanza di coinvolgere nel progetto anche società commerciali .
L’esperto cita uno scenario da Minority Report , in cui come nel film di Spielberg il consumatore che entri in uno store venga riconosciuto e informato su offerte speciali o messaggi pubblicitari secondo le proprie preferenze. Anche se, a suo dire, la tecnologia che sta sviluppando sarà molto meno intrusiva delle visioni fantascientifiche di Philip K. Dick . “Con questo sistema l’utente ha il controllo totale” dice Sakamura, “Cerchiamo di infilare i chip e i tag solo negli oggetti e nell’ambiente, mai sulle persone. Con un sistema del genere l’utente può scegliere di leggere ciò che vuole”.
“Il comunicatore ubiquo – continua il professore – cioè il dispositivo tascabile utilizzabile per leggere le informazioni intorno a te, può soltanto ricevere e trasmettere, ragion per cui la tua identità rimane protetta”. Anche in questo ambito i test iniziali hanno comunque messo a nudo alcune problematiche dal punto di vista della sicurezza che andranno affrontate in maniera adeguata: “Un mattacchione è riuscito persino ad introdurre un suo tag in un lampione di Ginza per dirottare chi vi avesse acceduto verso un sito web pornografico”.
L’iper-tecnologico Giappone è uno dei paesi che più di altri ha accettato la presenza diffusa di chip RFID , per individuare la provenienza degli alimenti o negli “store intelligenti” che vendono vestiti con i microchip integrati. Pur tuttavia Sakamura è il primo ad ammettere come un network totalmente fuso con l’ambiente cittadino possa rivelarsi un’arma a doppio taglio.
Il professore fa l’esempio del telelavoro a mezzo comunicatore, potenzialmente in grado di permettere all’impiegato di operare dal posto che preferisce – con un piccolo terminale collegato a computer distribuiti o a tag multipli connessi ad un server centrale – ma anche di far sapere al boss esattamente dove si è al momento. “Ma finché tu utente devi autorizzare la rivelazione di simili informazioni saremo apposto”, ci tiene comunque a rassicurare Sakamura.
Sia come sia, per l’esperto la costruzione di un network di informazioni onnipresente è “il prossimo passo nella civilizzazione” dopo la costruzione delle strade, un’evoluzione destinata ad influenzare “l’essenza delle cose che ci circondano”. La sua visione interna parla di microcomputer, sensori ed RFID fusi insieme ad ogni oggetto fisico, in grado di operare “di concerto, processando, scambiando informazioni l’uno con l’altro all’interno dell’architettura di ubiquitous computing. Rendendo disponibili informazioni locali e specifiche in ogni momento, dappertutto e a chiunque”.
Alfonso Maruccia