Google: sanzioni e tariffe contro la censura

Google: sanzioni e tariffe contro la censura

BigG chiede a Washington un nuovo approccio al problema delle censure sulla rete: le azioni repressive vanno considerate violazioni delle regole sul commercio internazionale. Con conseguenze su tutto, banner compresi
BigG chiede a Washington un nuovo approccio al problema delle censure sulla rete: le azioni repressive vanno considerate violazioni delle regole sul commercio internazionale. Con conseguenze su tutto, banner compresi

Washington – Se esiste una soluzione di contrasto efficace al sempre più abusato strumento della censura preventiva online ad opera di un numero crescente di nazioni, questa va ricercata negli organismi USA che regolamentano i trattati sul commercio internazionale. L’idea è di Google, la net company che ha nel suo cuore il motore di ricerca delle informazioni più usato dagli utenti , secondo cui occorrerebbe equiparare il controllo preventivo dell’accesso ai contenuti ad un problema di natura meramente economica .

Essendo la fruibilità globale delle risorse web il punto cardine dell’ecosistema (economico, sociale e informativo) di rete, suggerisce BigG, l’atto di scaricare da un sito straniero equivale ad una vera e propria importazione , e qualsiasi ostacolo a questa possibilità è un problema di tipo commerciale e va quindi ascritto all’ Office of the United States Trade Representative .

La libera circolazione delle informazioni è l’elemento cardine che ha reso Google il gigante che è, e l’impiego crescente della censura telematica mette a repentaglio la libertà di espressione e di accesso alle informazioni tanto quanto il rodato sistema di advertising discreto che fa incassare a BigG la stragrande maggioranza dei suoi lauti introiti.

“È pacifico che la censura sia in assoluto la barriera principale per il commercio che ci ritroviamo a dover affrontare” ha dichiarato Andrew McLaughlin, direttore della policy pubblica e degli affari governativi per Google, che ha incontrato diverse volte durante l’anno gli ufficiali dell’USTR per discutere il problema. “Se i regimi di censura creano barriere al commercio in violazione dei trattati internazionali – ha sostenuto per tutta risposta Gretchen Hamel, portavoce dell’organismo di controllo USA – l’USTR dovrebbe interessarsene”. Hamel ha tenuto poi a sottolineare come problemi inerenti ai diritti civili siano generalmente di competenza del Dipartimento di Stato piuttosto che di un’organizzazione dedita al commercio come l’USTR.

Le manovre di Google sono perfettamente in linea con il rinnovato interesse di Mountain View per le sfere di potere tradizionali , quelle off-line del parlamento federale degli States. Nel mentre, fuori dalle aule decisionali le organizzazioni pro-diritti digitali sembrano ben accogliere gli sforzi di BigG contro la censura telematica nel suo complesso, per quanto ne sottolineino i principi di natura squisitamente commerciale piuttosto che etico/morale.

“La libera espressione è un bene commerciabile di notevole valore” osserva Danny ÒBrien, coordinatore internazionale per Electronic Frontier Foundation . I filtri di stato non fanno altro che impoverire tale valore , diminuendo quindi l’appeal dei servizi made in Mountain View per gli utenti che si trovano a dover fruire la Rete dietro i bavagli della censura di stato.

Nondimeno il nuovo approccio del commercio estero potrebbe rappresentare una novità importante per l’intero web , perché dopo aver ricevuto critiche feroci sulle sue politiche di connivenza nei confronti del Great Firewall of China e severi ammonimenti da parte degli stessi azionisti, Google sembra aver trovato la giusta chiave di volta per affrontare in maniera globale – e, si spera, efficace – il problema.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
25 giu 2007
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