Una class action per l'accessibilità

Una class action per l'accessibilità

I cittadini disabili devono godere delle stesse opportunità offerte agli altri cittadini: un principio che vale anche per la Rete, troppo spesso inaccessibile. Negli USA parte una causa senza precedenti
I cittadini disabili devono godere delle stesse opportunità offerte agli altri cittadini: un principio che vale anche per la Rete, troppo spesso inaccessibile. Negli USA parte una causa senza precedenti

L’ accessibilità dei siti Web è un diritto troppo spesso negato? Negli Stati Uniti è ora oggetto di una class action, che potrebbe stabilire un precedente capace di aprire la strada ad una Rete alla portata di tutti.

Risale allo scorso anno l’iniziativa di Bruce Sexton, un determinato studente cieco di Berkeley: aveva denunciato Target.com , un rivenditore online che con il design del proprio sito nega di fatto l’accesso a utenti non vedenti ed ipovedenti . Mancano i tag di descrizione delle immagini, il sito è organizzato in maniera tale da ridurre l’operato degli screen reader ad un farfugliare privo di senso, l’acquisto di qualsiasi prodotto è precluso a non vedenti e ipovedenti privi di assistenza.

Il caso, riporta Ars Technica , ha ora assunto i contorni di una class action: il tribunale federale della California ha respinto la richiesta di Target di risolvere la questione con il rito abbreviato e ha accordato all’accusa la possibilità di procedere.

La strategia dei legali della National Federation of the Blind ( NFB ) farà perno su due leggi dello stato della California e sull’ Americans With Disabilities Act ( ADA ), la legge che garantisce pari diritti ai cittadini disabili . Redatta in epoca pre-Web, le barriere d’accesso che la legge mira a sgretolare con delle linee guida non sembrano comprendere gli ostacoli digitali , altrettanto insormontabili per i cittadini disabili. La flessibilità della legge, la sua capacità di applicarsi alla Rete, non era mai stata messa alla prova prima d’ora: un caso analogo a quello sollevato dalla NFB, che nel 1999 aveva coinvolto AOL , era stato chiuso nel momento in cui il provider aveva accettato di adeguarsi agli standard di accessibilità raccomandati dalla comunità internazionale, mentre un tribunale aveva respinto per vizio di forma la richiesta di un altro utente non vedente, incapace di completare una transazione sul sito di Southwest Airlines.

Anche Target ha tentato di riparare agli errori e ha introdotto misure che in parte abbattono le barriere digitali del suo sito, ma il processo proseguirà: “Gli americani non vedenti cercano solo di ottenere gli stessi diritti e le stesse opportunità garantite agli altri – spiega un avvocato che rappresenta la NFB – questo caso dovrà dare uno scossone a tutte le aziende, i cui servizi dovranno essere resi accessibili a tutti”.

“È un notevole passo avanti per le persone non vedenti di questo paese, alle quali per troppo tempo è stato negato il diritto di accedere all’economia di Internet “, ha dichiarato con soddisfazione Marc Maurer, a capo della NFB. Del resto, spiega l’accusa, uniformarsi alle linee guida per rendere un sito accessibile non è un’operazione costosa né tecnologicamente proibitiva . Un’operazione che, ampliando la base di utenza del sito, può presentare anche fruttuosi risvolti economici.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
5 ott 2007
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