Non c'è più il warez di una volta

Non c'è più il warez di una volta

Lo dice The Hacker Quarterly che accusa: ormai tutti pensano solo al profitto. Al proprio profitto
Lo dice The Hacker Quarterly che accusa: ormai tutti pensano solo al profitto. Al proprio profitto

Che fine ha fatto il warez? Questo il dirompente interrogativo che si pongono i redattori del celeberrimo 2600: The Hacker Quarterly , secondo cui nella scena underground la passione è stata sostituita dal profitto, e i craccatori sono per la gran parte passati al “lato oscuro” del business a scrocco.

Il mondo del warez , temuto dall’industria del software come la peggiore minaccia alla vendita di prodotti originali e ben noto a quanti siano perennemente a caccia di “crack” e software sprotetti, sarebbe in realtà al tracollo a causa della perdita dello spirito originario , ovvero il cracking fatto per il puro piacere di farlo e per distribuire all’intera community il frutto del proprio operato.

A dirlo non sono esperti di sicurezza troppo sicuri di sé, reporter informatici in cerca di scoop o editor privi di fantasia. A dirlo come accennato è una delle più celebri pubblicazioni della scena hacker: 2600: The Hacker Quarterly .

“Il warez non è più quello di una volta” si afferma nel numero invernale del magazine americano appena distribuito nelle edicole. La pubblicazione, accanto alla trattazione di argomenti quali le darknet , mette in luce l’attuale struttura dei siti di accesso al materiale warez e ai codici “liberati” da protezioni e restrizioni alla copia, composta principalmente da amministratori di sistema e webmaster la cui unica passione è il denaro , e che non si fanno scrupolo di usare le donazioni degli utenti per il proprio tornaconto o per fare la bella vita.

“C’è troppa quantità e troppa poca qualità warez in circolazione in questi giorni” riporta CrunchGear . 2600, nonostante sia esponente del movimento “Grey hat” che professa la neutralità dell’hacking rispetto a chi lo considera come una pratica di natura morale da usare per fare del bene (White hat) e a chi usa le proprie conoscenze “proibite” per motivazioni malvagie, personali o di mero profitto (Black hat), si lamenta del fatto che in sostanza oggi gli hacker siano diventati tutti, chi più chi meno, Black hat dal portafogli gonfi e dalla carriera piratesca dai rischi minimi.

La denuncia del magazine non svela, a conti fatti, uno stato di cose poi così nuovo: l’uscita di scena del collettivo della celebre crew internazionale DrinkOrDie , falcidiata a colpi di processi e condanne da scontare in prigione, non ha fatto altro che accelerare il già avviato processo di trasformazione del settore.

Da territorio inesplorato da attraversare con attenzione e procedendo a tentoni, il warez è diventato una vera e propria industria, in cui chi è disposto a pagare un modico prezzo può ottenere il tanto agognato software pirata e magari anche altro. È lo stesso processo degenerativo evolutivo che tra l’altro colpisce la scena dei virus writer , in cui l’approccio amatoriale ha lasciato il posto al business dei trojan, worm e botnet che sferzano la moderna rete telematica con tempeste periodiche e oltremodo dannose per utenti e aziende.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
16 gen 2008
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