Sorridi elettrone!

Sorridi elettrone!

Fotografata una delle più sfuggenti e minuscole particelle atomiche. Grazie ad un flash che più veloce non si può
Fotografata una delle più sfuggenti e minuscole particelle atomiche. Grazie ad un flash che più veloce non si può

Un lampo di luce dalla durata di un attosecondo : questo serve per fotografare un elettrone. È quanto sono riusciti a fare nei laboratori di Ingegneria della Lund University , un ateneo svedese situato nell’omonima cittadina. Un risultato mai raggiunto prima, ottenuto grazie alla modulazione di una luce laser in una sequenza di impulsi stroboscopici .

L'elettrone fotografato dalla Lund University Le immagini ottenute fino ad oggi risultavano tutte “mosse”: impossibile fermare il moto della particella , troppo veloce per le tecniche convenzionali. “Un attosecondo sta ad un secondo come un secondo sta all’età dell’universo”, spiega Johan Mauritsson, professore della cattedra di fisica atomica dell’università scandinava: occorrono 150 attosecondi ad un elettrone per compiere una rivoluzione attorno al nucleo, ma fino ad oggi nessuna tecnologia era stata in grado di scendere sotto il limite del femtosecondo .

La tecnica impiegata prevede l’adozione di un fascio laser intermittente che vada a colpire un fascio laser infrarosso continuo: in questo modo è possibile “estrarre” un singolo atomo di elio dal flusso, ionizzandolo, e dunque osservando il suo movimento e tentando di catturare gli eventuali elettroni che si liberino dalla morsa atomica. Il risultato è l’immagine di una specie di ciambella blu , ricavata dal detector che intercetta gli elettroni in uscita: nel centro vuoto e buio della figura si annida un singolo elettrone.

Adottando una precisa sequenza di impulsi, in futuro gli scienziati sperano di riuscire anche a “indirizzare” l’elettrone verso altre particelle, con lo scopo di analizzarne gli eventuali impatti e le dinamiche conseguenti. Se ciò non bastasse, i ricercatori puntano anche a studiare la fenomenologia della ionizzazione e studiare come e quando altri elettroni occupino gli orbitali lasciati liberi durante questi processi. “Non stiamo facendo nient’altro che ricerca di base pura – ha precisato il professor Mauritsson – Se ci saranno in futuro applicazioni pratiche, dovranno essere viste come un bonus insperato”.

Le tecniche adottate in precedenza dagli scienziati per studiare il movimento degli elettroni erano di tipo indiretto, come la misurazione dello spettro. Con queste tecniche, tuttavia, era possibile solo misurare l’effetto del movimento dell’elettrone: la scoperta svedese consentirà di abbinare a queste misure anche l’osservazione del fenomeno, ampliandone il valore scientifico.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
26 feb 2008
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