Kernel Linux, pochi lo fanno gratis

Kernel Linux, pochi lo fanno gratis

La comunità che lavora al kernel Linux è sempre più nutrita: sono le grandi aziende a spingerne lo sviluppo e a foraggiare gli sviluppatori
La comunità che lavora al kernel Linux è sempre più nutrita: sono le grandi aziende a spingerne lo sviluppo e a foraggiare gli sviluppatori

Lavorare al kernel Linux come volontari? Una realtà che appartiene sempre più al passato: gli sviluppatori sono sempre più spesso lavoratori foraggiati dalle grandi corporation. E sono sempre di più.

A tracciare il quadro della comunità che lavora al kernel Linux è una ricerca pubblicata da The Linux Foundation che esplora gli ultimi tre anni di sviluppo del codice, dal rilascio della versione 2.6.11, a cui hanno lavorato 483 programmatori e 71 aziende, ai 1057 programmatori e alle 186 aziende che si sono affaccendati sulla versione 2.6.24.

Ogni giorno si aggiungono al kernel 3621 righe di codice, se ne rimuovono 1550, se ne modificano 1425, dal 2005 il kernel è cresciuto stabilmente del 10 per cento l’anno : ciò si deve alla necessità di fornire costantemente supporto hardware aggiornato, all’aumento delle funzioni e alla sempre più nutrita comunità di sviluppatori.

Il numero dei programmatori è raddoppiato negli ultimi tre anni, ed esiste uno zoccolo duro di sviluppatori alacri: dieci di loro hanno contribuito ad apportare il 15 per cento di cambiamenti sul codice, i trenta sviluppatori più attivi sono responsabili del 30 per cento delle modifiche.

A supportare il lavoro degli sviluppatori, nella larga maggioranza dei casi, ci sono le aziende: il 13,9 per cento dei developer si concentra sul kernel Linux per impiegare il proprio tempo libero mentre il 74,1 per cento smanetta sul codice a favore dell’azienda per cui lavora. Alla frotta di programmatori Linux stipendiati dalle grandi imprese si può attribuire il 70 per cento dello sviluppo del kernel : in testa c’è la community foraggiata da Red Hat (11,2 per cento dei contributi), seguita da quella di Novell (8,9 per cento), in terza posizione IBM (8,3 per cento).

Ogni azienda che opera su Linux ha buone ragioni per farlo, spiegano gli autori dello studio: c’è chi lavora sulla compatibilità con l’hardware che vende, c’è chi compete sulle distribuzioni, ci sono aziende, da Nokia a Volkswagen, che spingono per l’evoluzione del codice perché Linux anima i dispositivi che propongono sul mercato. Ma non sono solo le grandi società a spingere per lo sviluppo del kernel: esiste altresì una long tail di piccole imprese che contribuisce in modo sostanziale ad apportare modifiche al codice.

Se il kernel Linux continuerà ad essere pubblicato sotto licenza GPL2 per volere del padre Linus Torvalds, sulla scena open source le adesioni alla controversa licenza GPL3 sono di peso: Trolltech ritiene che l’ultima versione della General Public Licence redatta da FSF non sia di ostacolo allo sviluppo di un ecosistema aziendale e ha rilasciato sotto licenza GPL3 le librerie alla base di KDE. OpenOffice migrerà alla versione 3.0 di LGPL.

La diffidenza degli sviluppatori è ancora palpabile: sono oltre 2042 i progetti che si avvalgono della GPL3, riferisce Palamida . Ad un ritmo di adozione di 1000 progetti ogni 4 mesi e mezzo, entro la fine del 2008 potrebbero essere 5mila i progetti rilasciati sotto GPL3.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
3 apr 2008
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