L’Italia, come certe interpretazioni draconiane delle leggi sull’informazione, fa buona compagnia ad Egitto, Iran e Cina: i tre paesi risultano ai primi posti di un rapporto sullo “stato di salute” dei blogger esposti ai regimi illiberali, secondo il quale gli episodi di citizen journalism bloccati con l’arresto e la galera hanno raggiunto nuove vette nel corso di tutto il 2007 .
Il rapporto World Information Access Report , stilato dall’Università di Washington, parla di “un anno record per gli arresti di blogger”, triplicati in confronto al 2006 . I tre paesi citati sono responsabili per più della metà degli arresti, e i numeri reali potrebbero essere di molto superiori secondo l’assistente professore Phil Howard, che evidenzia come non tutti gli episodi riescano a conquistarsi uno spazio nelle cronache e finiscano così per essere ignorati dal pubblico.
Le ragioni che in genere fanno scattare la reazione censoria sono state individuate in sei diverse categorie, vale a dire: violazione delle norme culturali, protesta sociale, critiche ai comportamenti pubblici, blogging riguardo importanti figure politiche, denuncia della corruzione e della violazione dei diritti umani e una non meglio precisata categoria “altri motivi”.
Assieme a Egitto, Iran e Cina sono sulla lista dei peggiori nemici dei blogger anche nazioni come Siria, Arabia Saudita, Singapore, Thailandia e Malesia. In totale, nel 2007 sono stati arrestati 36 micro-publisher, dice il rapporto, e i casi accertati dal 2003 in poi ammontano a 64 per un totale di 940 mesi di prigionia scontati.
I blogger finiscono in galera anche nella parte occidentale del mondo – Italia a parte – con casi registrati in Francia, Canada, Stati Uniti e Regno Unito. In taluni di questi episodi, riporta ars technica , ci sarebbero però di mezzo veri e propri reati come per il blogger-pedofilo arrestato in California o nel caso del ladro-publisher del Galles, che ha abusato del suo megafono privato per minacciare i parenti degli ufficiali di polizia che ne avevano bloccato la carriera di delinquente.
Per quanto la situazione appaia in netto peggioramento, e il micro-publishing in Rete continui a rivestire il ruolo di impotente e bistrattata spina nel fianco dei meccanismi ben oliati dell’informazione schiava delle lobby e del pensiero unico, vanno citati anche i casi in cui proprio grazie alla interconnessione “sociale” dei blog e dei canali di comunicazione-ossessione a-là Twitter le persone sono state portate fuori dalla galera , come è ad esempio successo a James Karl Buck finito dietro le sbarre – neanche a dirlo – in Egitto.
Alfonso Maruccia