Nessuna tregua, nessuna tolleranza, nessuno spazio a chi non condanna apertamente qualsiasi aspetto della pedofilia: la pedofilia culturale che secondo le associazioni di tutela dei minori cresce in rete esponenzialmente, anche in Italia, è ora oggetto di una nuova proposta di legge che segue di pochi giorni l’annuncio di un’altra proposta in materia. In questo caso, per la prima volta si intende inserire il termine pedofilia nel Codice Penale, una misura che ha come primo firmatario Alessandro Pagano del Partito della Libertà ma che ha già raccolto numerosissimi consensi in Parlamento: almeno un centinaio gli onorevoli pronti ad appoggiare la nuova idea.
Ma di cosa si tratta esattamente? Andando a vedere il testo della proposta si legge che consta di pochi articoli. Vengono presentati come necessari per contrastare quello che viene definito “strisciante” movimento culturale che si avvale spesso e volentieri di Internet per diffondere concetti insani. Servono dunque a “(…) contrastare l’emergente fenomeno di quella tanto perversa e insidiosa, quanto sottile cultura (oseremmo dire lobby) che tende a far normalizzare la pedofilia, mediante una pregnante e subdola azione culturale fondata sulla giustificazione e sulla tolleranza di un tale comportamento sessuale nei confronti dei bambini”.
Non è un caso se sono parole che ricordano da vicino certi comunicati stampa: nella presentazione della proposta di legge si cita espressamente l’associazione Meter di Don Fortunato di Noto che ieri ha partecipato alla Camera alla presentazione della bozza e che in una nota definisce la proposta, alla quale ha contribuito, come una novità “di portata storica”. Con l’occasione Di Noto stesso ha consegnato a giornalisti e parlamentari un dossier in cui sono elencati migliaia di siti italiani ed internazionali a suo dire colpevoli di “pedofilia culturale”, che rivendicano cioè, ha spiegato, “l’assurda e inquietante pretesa di normalizzazione della pedofilia”.
Nelle intenzioni dei promotori si intende colpire nello specifico il pedofilo non come “mostro che violenta un bambino” ma come individuo che descrive la pedofilia come “un’azione positiva” e che dice di “amare il minore” e di voler manifestare questo sentimento “anche attraverso i rapporti sessuali”. Ciò che va colpito, dunque, è quella cultura, quel “mondo che vuole diffondere un’immagine pulita della pedofilia, nascondendone il lato deviato”. Secondo l’associazione Meter, sono più di 550 le organizzazioni che nel mondo rivendicano “i diritti dei pedofili”. Questi gruppi, è stato detto, si servono di libri e riviste, siti web e persino radio e agenzie di stampa.
Andando agli articoli della proposta, il primo è quello relativo all’inserimento della parola Pedofilia nell’articolo 609 quater del codice penale. Il secondo invece introduce dopo l’articolo 414 del codice il nuovo articolo 414 bis , che recita:
ART. 414-bis. – (Pedofilia culturale). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con qualsiasi mezzo, anche telematico, e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere o fa l’apologia delle condotte previste dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies, 609-quater e 609-quinquies, ovvero dagli articoli 609-bis e 609-octies, compiute in danno di minorenni, è punito con la reclusione da tre a cinque anni e con la multa da euro 5.000 a euro 50.000
Per capire di che si tratta basta leggersi gli articoli citati del codice, da dove si evince che viene punita l’apologia di condotte illegali quali atti sessuali con minori, corruzione di minorenne, prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pedopornografico. Per comprendere ancora più a fondo cosa significhi è necessario aprire il dizionario. Secondo il De Mauro, apologia è in origine un discorso “di autodifesa pronunciato dal condannato”, un “discorso o scritto a difesa o a esaltazione di qualcuno o qualcosa”. Quel che interessa è però l’ apologia di reato , ossia “reato che consiste nel difendere o esaltare azioni o comportamenti contrari alla legge”.
Lo scopo dei promotori del nuovo testo, come hanno spiegato loro stessi, è di punire “una serie di condotte, soprattutto apologetiche e di istigazione, nonché di pubblicizzazione, diffusione e divulgazione, con qualunque mezzo, dei contenuti legittimanti tale cultura, che sicuramente ricadono nell’illiceità, travalicando i confini della libera manifestazione del pensiero ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione, perché connesse a un crimine la cui estrema gravità è generalmente riconosciuta in tutti gli ordinamenti, quale appunto l’abuso sessuale sui bambini, la cui intangibilità sessuale è garantita sia a livello costituzionale, sia dalle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia”. Roma – L’articolo 21 della Costituzione recita al primo comma: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Sono parole che in queste ore mi ripeto più e più volte cercando di trovarne i limiti, le imperfezioni, cercando giustificazioni a quanto previsto da una proposta di legge che, da quanto si evince dal clima politico, sembra destinata ad essere presto approvata.
Non c’è molto da dire, in realtà. Il termine “pedofilia” evoca in sé tali mostruosità da rendere difficile, se non impossibile, una riflessione pacata. C’è poco da essere moderati quando di mezzo ci va la salute e la sicurezza dei bambini, e non c’è niente come la loro integrità fisica e psicologica che possa scuotere e smuovere di più le coscienze.
Eppure, forse proprio per questo, sarebbe utile proporsi uno sforzo ulteriore, qualcosa che consenta di diradare le nebbie e vedere oltre l’ira, la rabbia, per i molti, moltissimi fatti di cronaca legati al violento manifestarsi di questa psicopatologia. Farlo può significare guardare il problema più da lontano e, forse, trovare nuove soluzioni, ed evitare errori grossolani.
Se è impossibile tollerare che chi ha commesso violenze sui bambini possa avvicinarsi di nuovo ad un minore, o anche solo mitigare il giudizio su chi ha compiuto certi atti, un distinguo è forse necessario per chi parla di pedofilia.
Non c’è solo l’articolo 21 a ricordarci che tutti possono esprimere liberamente il proprio pensiero, c’è anche tutta una storia dietro a noi che dovrebbe aver insegnato che impedire al pensiero di manifestarsi non significa cancellarlo. Anzi, perlopiù significa renderlo più forte, perché privato del confronto pubblico. Messo alla porta dalle leggi, il reato di opinione non smette mai di manifestarsi, ma cambia forma. Tanto più su Internet, dove l’esercizio dei diritti di cui all’articolo 21 sono presi in parola da tutti gli utenti Internet, e sono esercitati come mai è stato possibile prima.
Viviamo in un paese nel quale chi nasce o cresce pedofilo non ha altra scelta se non quella di nascondersi, in attesa di cadere vittima della propria psicopatologia e distruggere le vite di altri, di bambini e di intere famiglie. Un paese nel quale si parla di pedofilia esclusivamente sotto il profilo repressivo. Le proposte più avanzate vanno dall’isolamento elettronico alla castrazione chimica per chi abusa di minori ma ciò che rimane fuori, da sempre, è un dibattito serio sulla prevenzione. Un paese democratico dovrebbe riuscire ad essere sufficientemente forte almeno per tentare di gestire la popolazione pedofila. Questa esiste, è un fatto, ma la sua esistenza viene negata, o affidata alla cronaca nera. Viviamo cioè in un paese in cui il pedofilo che non ha commesso abusi, e che sa che potrebbe compierli perché quella è la sua natura , non trova nelle istituzioni, in nessuna di esse, la possibilità di un dialogo, di un confronto. Non esiste una infrastruttura che sia in qualche modo di consulenza, di “ricezione”, di chi soffre di questa devianza così nefasta: abbandonato a se stesso, anche il pedofilo che non vuole considerarsi un mostro, e in quanti episodi di cronaca si sono lette dichiarazioni degli arrestati su questo fronte, anche quello può solo scegliere di nascondersi.
In questo clima di negazione del problema, o di visione dimezzata di un problema che è più ampio di quanto venga disegnato da certe frettolose normative, si spera di azzittire quei pedofili che fanno gruppo e che sperano con le proprie assurdità di poter sdoganare il più grave dei crimini che un uomo adulto possa compiere. Quel che si potrà ottenere da tutto ciò sarà un ulteriore rintanamento nel buio di una parte della popolazione italiana con la quale si rifiuta un dialogo non solo per quello che alcuni di loro fanno ma anche solo per quello che pensano. Si scomunica chi la pensa in quel modo aberrante, si rifiuta il dialogo a priori, si temono le loro parole come se non vi fossero argomenti da ribattere, quando ce ne sono a tonnellate, come se quelle enormità che vengono dette non potessero essere sotterrate se finalmente poste a confronto con la realtà. No, si sceglie la via della chiusura, si dimostra una sorprendente debolezza su un fronte, quello della tutela dei più piccoli, in cui ci si aspetterebbe invece l’esercizio di una più alta sobrietà di giudizio.
Schifato da certi fatti, terrorizzato per la sicurezza dei bambini, frastornato dalla sequela impressionante di normative approvate negli ultimi 10 o 12 anni e che spesso hanno colpito le libertà digitali, sono qui che mi chiedo ancora una volta cosa si speri di ottenere. E perché quell’articolo 21, tanto per cambiare, sia considerato ancora una volta così poco saggio da poter essere delimitato, traviato, plasmato con tutte le conseguenze del caso. Perché di quell’articolo, che distingue più di ogni altro la nostra Costituzione da quelle di molti paesi illiberali, non venga colta la portata innovatrice.
Se qualcuno ha una risposta, sarò felice di leggerla.
Paolo De Andreis