Servono più garanzie per i dati dei cittadini europei, serve che le autorità statunitensi si rassegnino ad una più stringente regolamentazione sul trasferimento di informazioni tra le agenzie investigative locali e quelle europee. A chiederlo è una parlamentare europea: lo fa percorrendo le vie legali contro le autorità statunitensi e tentando di dimostrare che le garanzie assicurate dalle istituzioni oltreoceano non sono che labili promesse.
Sophie in’t Veld è una 44enne olandese, divisa fra gli States e l’Europa per motivi di lavoro. Regolarmente viene bloccata alla frontiera , appena sbarcata da un volo intercontinentale. Il personale di dogana statunitense controlla i suoi dati e riscontra che la donna rimbalza fra UE e USA “con troppa regolarità”. Con altrettanta regolarità viene invitata a sottoporsi a controlli addizionali , a domande pressanti. Il personale si informa riguardo alle motivazioni del viaggio e scopre poi che la donna è una parlamentare europea.
Una parlamentare europea che ritiene che i propri dati punteggino i database della agenzie investigative statunitensi, al pari di quelli dei cittadini europei che suscitano sospetti per viaggi troppo frequenti. Sophie in’t Veld opera nella Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e sta lavorando con i colleghi europei alla definizione di un accordo con gli Stati Uniti, un accordo che permetterà a “individui autorizzati per scopi precisi” di richiedere dati su cittadini che risiedono oltreoceano , dati che potranno riguardare transazioni e viaggi. Veld ritiene che l’accordo calpesti le libertà civili e i diritti alla riservatezza garantiti ai cittadini europei, ma le sue richieste sembrano rimanere disattese: per questo motivo ha deciso di mettere alla prova il sistema regolamentare statunitense e chiede di accedere ai dati che le autorità USA hanno accumulato su di lei.
L’accordo in fase di negoziazione tra USA e UE, sulla base delle leggi attualmente in vigore, prevede che i cittadini non statunitensi non possano chiedere delle rettifiche ai dati raccolti ma, sulla base del Freedom Of Information Act, assicura che possano prenderne visione se ritengono che possano essere stati utilizzati in maniera poco accurata o inappropriata. Veld, affiancata dal legale di EFF David L. Sobel, si è rivolta a un tribunale per chiedere di mettere le mani sui dati che la riguardano, archiviati dal DHS e da altre istituzioni. “Gli Stati Uniti stanno tentando di far credere che in Europa ci sia un procedimento semplice e consolidato di cui i cittadini europei possano avvalersi per accedere ai propri dati – denuncia Sobel – Ma è un processo difficile e lungo che può anche sfociare in un nulla di ottenuto”.
Velt è già rivolta alle agenzie investigative USA per scoprire cosa annoverano nei loro archivi riguardo alla sua persona e alle sua abitudini, non è la prima volta che la sua richiesta si conclude con delle rassicurazioni: se il Dipartimento di Stato non ha ancora dischiuso i propri fascicoli, l’FBI assicura di non detenere alcun record su di lei. Il DHS ha effettuato una ricerca approfondita negli archivi di frontiera e nelle liste dei viaggiatori non graditi : nessun record con il nome di Veld. Ma il nome di Veld deve risiedere in qualche file, la Parlamentare Europea alle frontiere USA continua ad incappare in controlli aggiuntivi.
Gaia Bottà
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