Colpirne 800 per educarne milioni: Virgin Media ha dato il via alla spedizione di minacciose missive concordate con l’industria della musica riunita in BPI , diffide agli utenti britannici con cui i condivisori vengono avvertiti del rischio di disconnessione forzata da Internet. L’associazione delle label britanniche è scatenata, e minaccia di trascinare in tribunale quei provider che non volessero allinearsi alla nuova policy.
Finora Virgin Media è il solo tra gli ISP ad aver siglato con BPI l’accordo per l’adozione della “three strikes policy”: dopo due avvisi successivi di infrazione della legge sul copyright, all’impenitente condivisore di contenuti sul file sharing viene comunicata l’impossibilità definitiva di accedere a Internet , fosse solo per controllare le news o fare e-commerce.
Una misura punitiva che richiama il cuore della cosiddetta dottrina Sarkozy in via di adozione in Francia e adocchiata dai reazionari del copyright in Italia, ma che Virgin Media ancora si ostina a definire “educativa”. Quella stessa società il cui dirigente ha definito “una manica di balle” la neutralità della rete, srotola alla BBC un tappeto di scuse felpate per la terminologia così diretta adottata nelle diffide.
Quelle espressioni lessicali, che minacciano appunto i destinatari con la disconnessione e qualificano gli utenti come fossero ladri, saranno modificate con la prossima ondata di agosto ma, a quanto pare, il danno è già stato fatto : Will McGree, uno degli 800 destinatari della prima tornata di missive di Virgin Media, ha comunicato alla BBC tutto il suo sdegno nei confronti dell’iniziativa.
“È destinata al fallimento. Virgin Media perderà un gran mucchio di clienti a causa di questo perché le persone non amano sentirsi accusate di essere ladri di musica mentre sorseggiano il caffé del mattino” ha dichiarato McGree a BBC Radio 1, sostenendo poi di essere estraneo alle accuse ascrittegli e che probabilmente qualcuno aveva approfittato della sua connessione wireless.
Virgin Media non si sente granché destinata al fallimento, e continua a minimizzare l’iniziativa definendo una goccia nell’oceano 800 utenti su quasi 4 milioni di sottoscrittori totali. La three strikes policy non sembra ad ogni modo convincere gli ISP britannici nel loro complesso : provider come Carphone Warehouse hanno già rifiutato di sottoscrivere l’accordo con BPI, e anche chi già da tempo applica una procedura di avviso simile come British Telecom sostiene di agire così nel pieno rispetto della legge e non dietro ordini espressi di BPI e delle etichette discografiche.
BPI, dal canto suo, appare decisa nel proseguire sulla sua strada : Geoff Taylor, il CEO dell’organizzazione che vorrebbe tanto replicare le gesta della crociata americana anti-P2P di RIAA sul suolo britannico, ha dichiarato chiaro e tondo che questa “campagna educativa” andrà fino in fondo, a costo di trascinare in tribunale tutti i provider che rifiutassero di piegare il capo. “E se saremo costretti ad andare in tribunale, ci andremo per vincere” chiosa senza mezzi termini Taylor.
Taylor però sa bene che la campagna di BPI non riuscirà a bloccare il P2P nel suo complesso ma è altresì convinto del fatto che “l’idea che il 95% dei contenuti presenti in rete è gratis non è sostenibile. Non crediamo che la società possa permettersi di far continuare il consumo gratuito dei contenuti”.
Magari, fa notare qualcun altro, a non poterselo permettere non è la società nel suo complesso ma solo la morente industria del disco incapace di rimettersi in linea con il progresso tecnologico: “Dobbiamo proteggere gli utenti da queste misure punitive” sostiene la direttrice esecutiva di Open Rights Group Becky Hogge.
L’industria ha da tempo la possibilità di offrire un’alternativa adeguata alla condivisione, dice Hogge, perché in ultima istanza “provare a fermare il file-sharing non autorizzato non è così utile ed efficace come provare a farlo fruttare”. Le ultime stime di Jupiter Research parlano di un buon 25% dei 400 milioni di cittadini europei impegnata in attività di file sharing, contro il 10% utente di servizi di download legali come iTunes di Apple.
Alfonso Maruccia