Roma – Personalmente io trovo molto interessante il baccano che circonda in questi giorni la prossima uscita mondiale dell’iPhone 3G. L’idea geniale di decidere un giorno (l’11 luglio) nel quale tutti gli operatori di tutto il mondo rendano disponibile il prodotto, esattamente come avviene da tempo nel mondo del software o in quello musicale, non è servita solo a riscaldare l’attesa, ma ha generato in rete una gigantesca discussione transnazionale fra i possibili utenti del prossimo telefono di Apple, crudelmente divisi dalle barriere nazionali dei differenti operatori ai quali il device sarà legato. Così, mentre si confrontano tipi di contratto e prezzi dei terminali (che a dispetto da quanto affermato da Steve Jobs avranno prezzi variabilissimi anche in relazione ai vari contratti previsti) e qualche fan italico progetta già una gita in Svizzera dove l’iPhone costerà molto meno che da noi, ci sono un paio di questioni che mi sembrano importanti.
La prima è che iPhone, per molte differenti ragioni, almeno in Italia non sarà il primo “computer che telefona”. La strategia commerciale di Tim e Vodafone è da questo punto di vista assai chiara e contemporaneamente piuttosto deludente: iPhone è un normale telefono, uno dei tanti telefoni di fascia alta che in questo paese hanno da sempre grande mercato ed i tipi di contratto previsti disegnano un utente-tipo che pur di possedere un oggetto “emozionalmente significativo”, accetterà di usarlo esattamente come fosse un altro cellulare, ed anzi sarà disposto ad accollarsi un sovrapprezzo non indifferente per entrare nel club esclusivo. Vedremo se le scelte degli operatori italiani saranno azzeccate oppure no. Personalmente non ne ho idea anche se mi pare chiaro che si tratti della ennesima presa di posizione delle telco contro lo sviluppo di una vera internet mobile.
La seconda questione che vorrei sottolineare riguarda Apple. Molto bene ha fatto Steve Jobs, qualche tempo fa, a cambiare la denominazione della società da “Apple Computers, inc” a “Apple inc”. Gli affari della casa di Cupertino sono del resto ogni giorno meno dipendenti dalla vendita dell’hardware e sempre maggiormente collegati ad accordi più o meno segreti con l’industria multimediale e, nel caso dell’iPhone, con gli operatori della telefonia. Non che si potesse fare diversamente ma occorre prendere atto che l’azienda che creava “solo” computer e software non esiste più: è come se Apple avesse improvvisamente deciso di sporcarsi le mani dentro un mercato davvero “differente” accettando le conseguenze di una simile esposizione. E la prima conseguenza è che il rapporto di Apple con la propria clientela sarà in futuro destinato a diventare meno trasparente e più simile a quello che abbiamo con la grande maggioranza delle aziende.
Se fino a ieri il patto non firmato che manteneva saldo il rapporto fra Apple ed i suoi clienti era quello di una sorta di identità ideale (acquisti un bene più costoso degli altri ma ne ricevi in cambio qualcosa per te significativo) oggi tale piccolo miracolo sembra destinato a sbilanciarsi. Così quando Jobs dal palco del Moscone Center annuncia al mondo che iPhone 3G costerà 199 dollari suscitando gli oohh di ammirazione della platea e del mondo intero in religioso ascolto, non compie nulla di diverso da ciò che fanno quelli che, fino a ieri, erano “gli altri”: mente sapendo di mentire ed accetta questo atteggiamento come una necessaria nuova forma di rapporto confidenziale con la propria clientela. Che è poi lo stesso rapporto di reciproca confidenziale diffidenza che abbiamo tutti noi con gli operatori telefonici che annunciano a grandi lettere nuovi contratti a costo zero pur se istoriati con asterischi grigi che rimandano a microscopiche eccezioni a fondo pagina. Il gioco delle parti a noi ben noto è che loro scrivono il falso e noi che leggiamo sappiamo che quello che stiamo leggendo è falso. Con Apple non era ancora accaduto.
Di certo non è possibile cambiare il mondo ogni giorno e la grande differenza fra i contratti di AT&T in USA che prevedono (tutti) tariffe flat per l’accesso alla rete da iPhone e quelli miseri dei nostri operatori che continuano a spacciare traffico dati come fossero diamanti, raccontano di una piccola grande differenza di approccio all’accesso a Internet in mobilità. IPhone non sarà, almeno per ora, l’avanguardia illuminata dei piccoli terminali mobili sempre connessi alla rete e se questa certamente non può essere considerata una responsabilità della casa di Cupertino di certo racconta una imbarazzante piccola contiguità fra l’azienda che guardava lontano e quelle che invece osservano da sempre solo la punta del proprio naso.
Contemporaneamente, e anche in virtù di questo, Apple entra in quell’area grigia del business che è forse capace di garantirle per il futuro sopravvivenza o anche grandi guadagni e che è fatta da complessi incroci fra device, contenuti e rete (un po’ quello che è accaduto con iPod e music store e che si sta tentando con Apple Tv e distribuzione video) ma che certamente renderà più complicato per i propri clienti l’innamoramento nei confronti dei prodotti in sé, avvolti come saranno da accordi di esclusiva, limitazioni tecnologiche e ibridazioni varie.
La novità del gran baccano intorno al prossimo eccitante iPhone 3G è che Apple e Vodafone (o Tim o AT&T ecc) non sono più tanto “differenti”. E sebbene Apple sia sempre stata una azienda da un certo punto di vista algida e distante dai propri clienti, non è ben chiaro se questo atteggiamento sarà alla fine premiante o meno, se alla fascinosa messa laica di Steve Jobs, solo sul palco in dolcevita e scarpe da tennis, non si sostituirà piano piano una usuale ed anonima convention di markettari strozzati nelle loro cravatte alla moda.
Quello che nel frattempo è comunque lecito aspettarsi è che al prossimo keynote di Steve Jobs a San Francisco si ascolti dalla sala il levarsi di qualche oohh di ammirazione in meno.
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