Che l’aumento del traffico in rete sia costante è un fatto, ed è noto che a occupare la banda di mezzo mondo siano soprattutto applicazioni come il P2P e il video-streaming. Ma se fino a ieri c’era solo il file sharing a dar filo da torcere a amministratori di rete e gestori dei backbone, oggi sono i filmati e appunto lo streaming a cambiare le carte in tavola. Siti come YouTube o HuLu hanno un seguito sempre maggiore, occupano sempre più spazio . E ci sono studi secondo cui queste nuove tendenze potrebbero persino costituire un rischio per il futuro di una Internet veloce.
Basta guardare a quanto accade nel Regno Unito, dove l’avvento di iPlayer e di altri client video ha convinto molti spettatori della BBC a riversarsi in rete per godersi l’ultima puntata del proprio show preferito . Rispetto ad un anno fa il traffico dovuto allo streaming è cresciuto in media del 168,9 per cento , con valori di picco pari a 3,3 terabyte scambiati al giorno, a fronte di una crescita complessiva del traffico web generato dai sudditi di sua maestà di solo il 26,5 per cento. In totale lo streaming è oggi “responsabile” del 9,64 per cento del traffico prodotto dall’isola.
Di segno opposto l’evoluzione del P2P , che genera un traffico calato in un anno dal 35,95 al 25,93 per cento del totale: una flessione dell’8,75 per cento nell’arco di 12 mesi, che fa scendere la mole di dati scambiata ogni giorno da 13,4 a 12,2 terabyte al giorno. I dati sono quelli registrati sulla propria rete dal provider UK Plusnet (di proprietà di BT). Secondo Plusnet esiste una relazione tra la crescita del video e la riduzione del traffico P2P, e tra quest’ultima e il sempre maggiore appeal che il video esercita anche in ambito business.
Dati analoghi giungono anche dal Sol Levante, da quel Giappone che ha fatto della penetrazione della fibra ottica nelle case dei suoi cittadini un punto fermo , e che vede decrescere il traffico generato dal file sharing di pari passo alla crescita di quello originato dal video-streaming. E cambiano le abitudini dei netizen : se nel 2004 la mole di dati scambiati in entrata era pressoché pari a quella in uscita, segno evidente dell’utilizzo massiccio del file sharing, nel 2008 la distanza tra quanto viene scaricato e quanto viene caricato verso Internet sembra aumentare. I surfer giapponesi oggi scaricano molte più informazioni di quante ne riversino in rete.
Il risultato complessivo è un generale appiattimento della crescita annuale del traffico totale , che si assesta attorno al 40 per cento da 3 anni a questa parte, a fronte di un prevedibile aumento della banda disponibile di circa il 50 per cento ogni 365 giorni. Qualcuno si comincia a domandare se dunque non sia giunto il momento di smettere di brandire il P2P come spauracchio di una rete saturata , al punto da “imporre” sistemi di traffic shaping più o meno invasivi. Ci si chiede cioè se non sia ora di ragionare sull’impatto dello streaming e sulla relazione che due fenomeni così diversi, P2P e streaming, pure sembrano avere: si può dire che all’aumentare dell’uso del video e dello streaming corrisponda da parte degli utenti un minor ricorso al P2P?
Il professor Andrew Odlyzko dell’ Università del Minesota si spinge in queste acque: in un articolo intitolato L’illusione della Net Neutrality pone l’accento sulle strategie messe in campo da ISP e provider di contenuti per tenere a freno l’esplosione del traffico in rete: “Quello che gli ISP promettono di fare, se avranno il completo controllo del proprio network, è di creare strutture speciali per lo streaming dei film”. Il problema? Secondo Odlyzko sta tutto nel fatto che i film non garantiranno i denari che servono per cambiare i paradigmi di investimento.
Più che sul fattore economico, che pure è fondamentale per pensare allo sviluppo di una infrastruttura, il professore pone l’accento sulla questione tecnica : “La trasmissione di film in tempo reale è una soluzione sbagliata, costosa e inutile”. Secondo Odlyzko, inoltre, l’attenzione degli ISP per la deep packet inspection ( DPI ) è un segno quasi inequivocabile della consapevolezza anche da parte dei provider di questo assunto: “La DPI non è necessaria se ritieni di non potere avere un servizio video efficiente senza costruire canali specifici di trasmissione”.
La DPI è invece necessaria , secondo Odlyzko, in due situazioni: se si vuole prevenire la nascita di servizi di streaming alternativi e più economici di quelli offerti dai fornitori dei contenuti, e se si vuole tenere sotto controllo i servizi con basse pretese di banda che sono in grado di produrre buoni introiti anche senza l’utilizzo delle immagini in movimento. Insomma, “I fornitori di servizi di comunicazione hanno un problema, ma non è quello dei flussi video”.
Piuttosto, prosegue il professore, manco a dirlo è l’erosione di quello che un tempo era la loro principale voce di bilancio: “Il traffico voce migra verso il wireless” chiarisce, e non si tratta certo di un fenomeno circoscritto soltanto agli Stati Uniti. Tutte queste chiacchiere sulla neutralità della rete si riconducono, per Odlyzko, al desiderio dei provider di ridisegnare il proprio bilancio per tenere sotto controllo l’evoluzione tecnologica, e al tentativo dei produttori di contenuti di ritagliarsi una fetta di introiti che sono di gran lunga superiori a quelli che film e musica riescono a realizzare ogni anno. Come dire, conclude, che l’asserto che la Net Neutrality vada sacrificata per consentire ad Internet di sopravvivere oggi “semplicemente non è credibile”.
Luca Annunziata