Non se ne conoscono i termini ma fa accapponare la pelle: ACTA, l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement che si sta negoziando fra paesi disseminati in tutto il mondo, è ancora avvolto nel mistero. Un manipolo di associazioni ora chiede una trasparenza fin qui negata.
Se non fosse stato per un documento trapelato su Wikileaks , il mondo avrebbe dormito sonni tranquilli. Nei mesi scorsi si era appreso che Stati Uniti, Unione Europea, Svizzera, Corea, Giappone, Messico e Nuova Zelanda sedevano ad un tavolo di trattative per elaborare un accordo che avrebbe dovuto sbaragliare la pirateria in ogni sua forma : nel documento si accennava all’esigenza di inasprire le pene per i contraffattori che agissero con o senza l’intento di trarne guadagno, si ventilava l’organizzazione di una task force transnazionale composta di personale proveniente dalla forze dell’ordine e da attori attinti all’industria, si sarebbero introdotte nuove procedure per esaminare dispositivi e contenuti che varcassero le frontiere. Anche le violazioni del diritto d’autore perpetrate attraverso la rete sarebbero finite nel mirino di ACTA: gli stati seduti al tavolo delle trattative tentavano di ritagliare un ruolo attivo per i provider, raccordo tra netizen che cooperano per far fluire online contenuti in maniera illecita. Alla fine di luglio erano emersi ulteriori inquietanti dettagli: l’industria dei contenuti chiedeva tutele nell’ambito della crociata per debellare la contraffazione e dava sfoggio del proprio potere negoziale.
Ora, sono oltre cento le associazioni che, disseminate in ogni angolo del mondo, pretendono chiarezza . Solo l’industria della proprietà intellettuale ha a disposizione i documenti su cui meditare, mente il resto del mondo resta tremebondo e inerte in attesa dell’abbattersi dell’accordo. Non è così che dovrebbero svolgersi il processo di negoziazione, rivendica la coalizione in una lettera aperta : “La mancanza di trasparenza nelle negoziazioni di un accordo che influirà sui diritti fondamentali dei cittadini di tutto il mondo non è democratica” spiegano i firmatari in una nota. E ricordano che alle lobby dell’industria della proprietà intellettuale, da quelle che operano nell’ambito della musica a quelle che difendono strenuamente i diritti dell’industria farmaceutica, è garantito da tempo il pieno accesso ai documenti e la possibilità di esprimere pareri e richieste.
Le associazioni sottolineano come le preoccupazioni che inquietano i cittadini sono basate su bozze trapelate senza che le istituzioni avessero mai menzionato l’esistenza di trattative in corso. Si tratta di preoccupazioni reali, riguardo a questioni che si sovrappongono con la quotidianità: ACTA potrebbe rivoluzionare il ruolo dei provider e criminalizzare il P2P, potrebbe ridimensionare la validità del fair use, potrebbe impattare sull’economia dei farmaci rendendola ancora più chiusa e inscalfibile. Questi cambiamenti, oltre ad impattare concretamente sulla vita del cittadino, potrebbero ripercuotersi sui contribuenti : gli attori privati che stanno partecipando alle trattative chiedono che siano gli stati a foraggiare le campagne e le rappresaglie contro coloro che attentano alla proprietà intellettuale.
Ma si tratta solo di speculazioni, avvertono le associazioni: nessuno ha modo di sapere quanto avvenga nella stanza dei bottoni, nessuno ha modo di esprimere la propria opinione, nessuno ha modo di partecipare ad un processo decisionale che riguarda l’intera società civile. E che ora attende una risposta.
Gaia Bottà