Ci investiranno non meno di 9 miliardi di dollari , dovranno superare difficoltà tecniche non indifferenti, ma hanno tutta l’intenzione di riuscire nell’impresa: scienziati e imprenditori giapponesi, riuniti sotto la sigla JSEA ( Japan Space Elevator Association ) si sono rimboccati le maniche e hanno pubblicato i primi schemi del progetto. Da portare a compimento non si sa ancora bene quando, ma l’ ascensore spaziale sarà, presto o tardi, una realtà.
Sul piatto, più che problemi teorici ci sono impedimenti pratici. Il principio dell’ascensore spaziale descritto dal compianto Sir Arthur Charles Clarke , infatti, non tira in ballo complicate teorie sul trasferimento di materia a distanza: di un vero e proprio ascensore si tratta, imperniato su un lunghissimo nanotubo di carbonio (o per meglio dire, un cavo formato da molti nanotubi) a fare da binario per l’ascesa ai circa 36mila chilometri del progetto asiatico, ben oltre le estremità più remote dell’atmosfera terrestre. Il vantaggio della tecnologia, rispetto agli attuali razzi vettori che portano astronauti e navicelle in orbita, sarebbe un deciso taglio all’energia necessaria per la salita.
Ma non solo di risparmio di carburante si tratterebbe: il trasporto di persone e materiali a migliaia di metri di altezza sarebbe alla portata di tutti (o quasi), permetterebbe la realizzazione di avamposti nello spazio sui quali avviare studi avveniristici e persino la costruzione di vascelli spaziali di nuova generazione con cui dare il via alla conquista del Sistema Solare. Senza contare, va ricordato, le notevoli ricadute sul piano tecnologico che avrebbe il superamento delle attuali limitazioni tecniche, che impediscono l’assemblaggio dall’oggi al domani di un ascensore spaziale, sull’industria della nazione o delle nazioni che collaboreranno al progetto.
Problemi che si concentrano soprattutto, ma non solo, sulla robustezza del cavo di carbonio che dovrebbe tenere in piedi la struttura. I nanotubi di questo materiale, molto più solidi dell’acciaio, non hanno ancora raggiunto quel livello di perfezionamento in grado di garantire il funzionamento del principio di risalita: nel corso degli ultimi anni, spiegano dal Giappone, la loro resistenza è già aumentata di decine di volte, ma manca ancora quel piccolo passo finale che si rivela, come di consueto, il più difficile.
Risolta questa “formalità”, resterebbe da decidere quale sorgente di energia utilizzare per il viaggio. Non sono mancati, negli scorsi anni , tentativi di ogni tipo per risolvere anche questa faccenda: dal Sol Levante ora suggeriscono di impiegare lo stesso ascensore per veicolare l’elettricità, sfruttando le doti conduttive del carbonio, ma anche questa rimane una questione dibattuta. Tanto più se, auspicabilmente, si cercasse una soluzione ecologicamente sostenibile.
Detto ciò, si tratterebbe di procedere al montaggio: probabilmente la più grande sfida ingegneristica della storia , da portare a termine quasi certamente lavorando sia dall’orbita che dal basso, e incontrandosi a metà strada per concludere il percorso.
Luca Annunziata