La quantità di contenuti scambiati sulle reti del peer-to-peer sta diminuendo dopo anni di crescita pressoché inarrestabile. È quanto sostiene Ipoque , società tedesca specializzata in tecnologie di deep packet inspection che in un nuovo studio in via di finalizzazione avrebbe individuato un cambiamento nelle pratiche dei downloader .
Che RIAA e l’industria stiano vincendo la guerra del copyright citando in tribunale migliaia di utenti e usando il pugno duro contro la “pirateria” telematica? Tutt’altro, dice Ipoque, si va passando dal P2P a canali e modalità alternative di fruizione di contenuti, nella fattispecie i download da link diretti (DDL, come li definisce la società), e l’affermarsi dello streaming basato su Flash.
Una sorta di ritorno al passato insomma, un parziale abbandono della tecnologia di scambio da pari a pari, generalmente decentralizzata, per tornare ai cari, vecchi server monolitici su cui uno pubblica e tutti scaricano . I numeri di iPoque evidenziano che i download di tipo DDL siano attualmente responsabili del 30% del traffico complessivo su tutti i “protocolli standard” come HTTP o FTP.
In certe regioni – fa sapere Ipoque – i provider più noti di questo genere di servizio riescono a raggiungere cifre importanti: RapidShare , il contenitore per download in assoluto più usato, da solo “genera metà del traffico DLL e quindi fino al 5% di tutto il traffico web in certe regioni”. E purtroppo per RIAA, quando si tratta di server centralizzati non è così facile individuare gli IP dei (presunti) “pirati” e portare i dati davanti al giudice per spaventare i malcapitati accusati, occorrendo in questo caso (e Napster, ancora una volta, insegna) un’azione più laboriosa e dispendiosa per ottenere le informazioni e magari la collaborazione di provider e admin dei server.
Assieme ai DDL crescono comunque anche i servizi in streaming, inclusivi del solito YouTube ma anche di portali minori ma ben più ammanicati con le major come Hulu.com , che garantisce fonti di introiti aggiuntive grazie al supporto dell’advertising.
E il P2P? Nonostante tutto continua a essere una delle maggiori fonti del traffico di rete , conclude iPoque: secondo le analisi sull’Europa meridionale, gli unici dati al momento finalizzati, il file sharing consuma il 54% della banda di Internet, contro un 10% usato per lo streaming e 23% del tradizionale “browsing” del web.
Numeri (reali) a parte, le minacce inventate dell’industria continuano ad ogni modo a rappresentare l’interesse predominante delle organizzazioni legalmente scatenate come la suddetta RIAA. Il futuro della crociata legale delle major ha il vento in poppa , fuori e dentro i college statunitensi ma soprattutto dentro, come evidenzia l’ ultimo caso del genere proveniente dalla University of Oregon .
L’ateneo aveva ricevuto, come tanti istituti prima, una subpoena per spifferare agli avvocati delle etichette discografiche i nominativi di 17 pericolosi criminali, colpevoli del peccato mortale dello scambio di contenuti sul file sharing. Ma in difesa dell’istituto e degli studenti si era schierato l’ufficio del Procuratore Generale dello Stato dell’Oregon, secondo la cui opinione RIAA voleva forzare l’università a “creare materiale ritrovabile per assistere l’Accusa nella sua causa piuttosto che limitarsi a distribuire documenti esistenti”.
L’università non aveva modo di individuare con precisione i responsabili del fattaccio, e l’industria faceva richieste immotivate. Non è di quest’avviso il giudice Michael R. Hogan, che ha sì respinto la richiesta dei 17 nominativi, ma ha altresì offerto all’organizzazione delle major la possibilità di richiedere una nuova subpoena , maggiormente circostanziata per non incappare in un nuovo diniego.
Alfonso Maruccia