Non doveva neppure chiamarsi così. Secondo Andrew Tanenbaum , venerato professore di informatica e programmazione, era un prodotto “obsoleto”. Per anni qualcuno ha cercato di ostacolarne la diffusione, rivendicando diritti su parte del codice sorgente. Eppure, dopo 17 anni , Linux è ancora sulla cresta dell’onda : l’unica concreta alternativa free nel panorama dei sistemi operativi. E il suo creatore, Linus Torvalds , è ancora saldamente in sella.
Il 5 ottobre 1991 Torvalds annunciava al newsgroup comp.os.minix di aver messo in piedi un kernel di un sistema operativo molto simile a Minix (OS sviluppato qualche anno prima da Tanenbaum) in grado di girare su piattaforma x86. Linus aveva iniziato lo sviluppo quasi per caso, interessato ad avere a disposizione un terminale sul suo nuovo computer per interfacciarsi ai server della sua università: si era presto reso conto di aver tra le mani un vero e proprio sistema operativo, e quindi pensò di condividere il proprio lavoro con altri.
All’inizio Linux non si chiamava neppure Linux: a Torvalds l’idea di dare al kernel il suo stesso nome pareva troppo egocentrica, e dunque aveva ripiegato su un più impersonale Freax (dall’inglese freak, con l’aggiunta di una X per Unix). Sfortuna o il caso vollero che, al momento di piazzare i file sorgenti sul server dell’Università di Helsinki, l’admin trovasse il nome Freax assai bruttino. Freax divenne Linux, Torvalds se ne fece una ragione e da allora il nome è rimasto inalterato.
Il successo di Linux passa anche per quello del software GNU . I puristi tengono a sottolineare che, come spiegato dallo stesso Torvalds nella documentazione delle prime release del kernel, una larga fetta di quanto si fa o non si fa sulle macchine che montano Linux si deve a software sviluppato direttamente da GNU o comunque rilasciato sotto licenza GPL. Editor, compilatori, interfacce: per anni la spina dorsale di Linux è stata GNU, motivo per il quale spesso ci si riferisce alle distribuzioni del sistema operativo con l’appellativo GNU/Linux.
Negli anni, sulla strada di Linux non sono mancate delle asperità. La più celebre di tutte è senz’altro la vicenda che ha visto contrapposte l’azienda statunitense SCO (precedentemente nota come Caldera) ad aziende del calibro di IBM. Una battaglia legale sulla paternità del codice di Linux, secondo SCO mutuato in parte da quello di Unix di sua proprietà , costata molte parcelle salate e molte ore spese in tribunale. Una vicenda non ancora conclusa, ma che nel tempo ha finito per vedere SCO perdere gradualmente terreno , mentre Linux ne è uscito pressoché indenne.
Proprio la questione della proprietà intellettuale resta uno dei nodi fondamentali da risolvere per Linux. Il codice scritto per le release più recenti del kernel viene attentamente vagliato per evitare che possa far piombare l’intero progetto nel caos, ma per quanto riguarda il passato c’è solo da augurarsi che nessuno abbia mai voluto risparmiare del tempo attingendo chissà dove.
Tra i momenti salienti della storia di Linux figura comunque senz’altro la release 2.6 del kernel, avvenuta a dicembre del 2003, che di fatto ha segnato un importante passo in avanti nelle ambizioni del sistema operativo open source sia in ambito desktop che server. Sul piano del codice Linux gode oggi di una certa popolarità, rafforzata senz’altro dalla scelta di aziende come Google di investire somme interessanti nel sistema operativo open source anche per applicazioni embedded di tipo commerciale.
Oggi Linux è una realtà concreta sia sotto il profilo del software libero, essendo presente in decine di distribuzioni gratuite, sia sotto il profilo commerciale : IBM investe molto nel sistema operativo per utilizzarlo nelle proprie applicazioni enterprise, e lo stesso fanno altre aziende grandi e piccole. Forse il vero tallone di Achille di Linux resta proprio il settore consumer , dove la percentuale di utenti finali che hanno scelto il sistema libero non ha mai impensierito i concorrenti.
La prova di questa scarsa confidenza del mercato consumer con Linux viene confermata in queste ore dalle dichiarazioni di Andy Tung , responsabile delle vendite di MSI negli USA: secondo le cifre in possesso dell’azienda asiatica, i propri netbook equipaggiati con sistema operativo pinguinato verrebbero riportati indietro e restituiti al negoziante quattro volte più frequentemente delle versioni equipaggiate con Windows. Per Tung non ci sarebbe dubbio: “Gli utenti iniziano a giocare con Linux e capiscono che non è quello a cui sono abituati: non vogliono perdere tempo a imparare e quindi riportano tutto al negozio”.
Il segno, insomma, che forse Linux non è ancora uscito completamente dalla sua adolescenza: 17 anni sono tanti, ma la maturazione del sistema operativo deve ancora continuare – soprattutto nelle interfacce – per far sì che diventi appieno sfruttabile anche dall’utenza meno evoluta . Quando avrà conquistato la maturità, allora sì che Mac OS e Windows avranno di che preoccuparsi.
Luca Annunziata