Il Parlamento europeo si schiude ai documenti aperti, i deputati non saranno costretti a comunicare con il Parlamento affidandosi a software proprietario. Il formato open ODF è ora veicolo di comunicazione per i rappresentanti dei cittadini europei.
La decisione di abbracciare ODF maturata dal Parlamento europeo è frutto di un interrogazione presentata dall’europarlamentare radicale Marco Cappato, che in più occasioni si è battuto per instillare in Europa il software open. Cappato, lo scorso aprile, si era rivolto alle istituzioni europee per sondare il terreno e verificare lo stato di apertura ai formati documentali aperti.
Ne era scaturito un quadro frammentato : se la Commissione già poteva dimostrare di accettare e produrre documenti ODF e di sapersi destreggiare agevolmente con formati che fossero standard ISO, il Parlamento europeo non si era rivelato altrettanto reattivo. La situazione del Parlamento rimaneva quella di qualche mese prima: l’adozione di formati documentali diversi da quelli prodotti da software proprietario rimaneva in fase di una cauta sperimentazione che “tiene conto del bisogno di continuità di servizio delle nostre infrastrutture e dei nostri ambienti informatici”.
Nel mese di luglio, la risposta ufficiale del presidente Hans-Gert Pöttering: l’ambiente burotico è in evoluzione, l’adozione di soluzioni open e l’apertura alla gestione di formati documentali aperti sta procedendo di pari passo con la strategia di innovazione del Parlamento. “Molto presto – scriveva il presidente dell’assemblea di Strasburgo – saranno adottate le misure necessarie, le quali dovrebbero poter essere applicate alla ripresa dei lavori parlamentari, a fine agosto”.
Cappato ha ora accolto con favore la comunicazione dei tecnici dell’istituzione: “I servizi informatici del Parlamento – annuncia Cappato – mi hanno informato che per la prima volta, in seguito alla nostra iniziativa, i deputati potranno inviare le proprie interrogazioni parlamentari utilizzando il formato aperto ODF (Open Document Format) che consente di lavorare con programmi informatici che non costringono ad acquistare licenze proprietarie”.
Gaia Bottà