Qualche giorno fa sono stato a Milano alla presentazione di Wired Italia . La versione italiana del famoso mensile americano sarà nelle edicole nel mese di Febbraio, seguita a distanza di pochi mesi dalla presentazione della versione inglese che inizierà le sue pubblicazioni in aprile. Wired, per chi si occupa di tecnologia, ha rappresentato negli ultimi 15 anni molte cose assieme. Intanto lo sviluppo di un modello non solo comunicativo: dentro una rivista patinata e graficamente molto curata convivevano con leggerezza contenuti pesanti, lunghe interviste, pagine dedicate ai gadget tecnologici e pubblicità. Specie quest’ultima. Ricordo che se c’era una cosa che mi colpiva quando sfogliavo Wired negli anni 90, era questa commistione positiva fra contenuti ed inserzioni. Ripensandoci ora, la possibilità che un certo approccio tecno-libertario a tematiche di spessore potesse convivere con un formato editoriale e grafico da rivista upper-class era forse una di quelle contraddizioni che rendevano Wired tanto affascinante.
A margine dell’evento della settimana scorsa si è molto discusso in rete della opportunità di una simile nuova pubblicazione cartacea di argomento tecnologico. Si tratta in effetti di una scelta da un certo punto di vista controcorrente. Mentre la grandissima parte dei contenuti che riguardano la rete Internet, l’informatica, la tecnologia e l’innovazione in genere si stanno trasferendo online in mille formati differenti, Wired Italia nasce immaginando un percorso opposto, decidendo di incamminarsi lungo la via classica della distribuzione per abbonamento e nelle edicole.
Confesso che non compro un mensile di informatica da molti anni. Oggi, dal mio punto di vista, non esiste in effetti alcuna ragione per farlo. Se si è collegati in rete la totalità delle informazioni che posso trovare fra un mese in edicola sono sul desktop del mio computer già oggi, spiegate e commentate con una ampiezza e variabilità che non sarebbe comunque consentita a nessuna pubblicazione cartacea. E tuttavia il caso delle riviste tematiche è un esempio con alcuni limiti. C’è ancora uno spazio per le pubblicazioni primariamente cartacee oggi? Se si osserva lo scenario dal punto di vista del lettore la risposta non può che essere dubitativa: dal punto di osservazione invece di un grande editore internazionale (Condé Nast nel caso di Wired) occorre considerare che a tutt’oggi il denaro della pubblicità fluisce ancora primariamente sulle pubblicazioni in edicola piuttosto che su quelle in rete.
In questa ottica forse l’idea di un Wired di carta, nel momento in cui la maggioranza delle pubblicazioni simili soffre una grande crisi di vendita, ed anche nel momento in cui la stessa casa madre americana – è notizia di questi giorni – licenzia il 25% del proprio personale, forse acquista un significato particolare per lo meno in un paese tecnologicamente arretrato come il nostro, dove la penetrazione delle nuove tecnologie ha numeri bassi, dove la quantità di persone che si informano online cresce più lentamente che altrove. Di contro, siamo anche un paese storicamente allergico alla lettura (anche) di quotidiani e mensili e questo potrebbe essere un altro fattore noto e di segno opposto da considerare.
Nella chiacchierata di mercoledì scorso Riccardo Luna, il nuovo direttore di Wired, è stato esplicito e chiaro. Il mensile che immagina è un giornale differente da quelli già presenti, che tratta delle tematiche dell’innovazione e non si limita alle cose della rete, che non predilige una narrazione gadgettistica del mondo che cambia ma immagina spazi inediti di racconto delle realtà esistenti nel mondo della tecnologia, delle nuove aziende innovative, nella ricerca di nuovi personaggi che fanno ricerca anche non necessariamente solo italiani.
Si tratta di un progetto ambizioso che sarà in ogni caso interessante seguire con attenzione. Una delle ragioni per farlo – lo dicevo l’altro giorno a Luna – è che simili iniziative possono fare da utile volano ad una nuova consapevolezza sulle tecnologie. Di questo l’Italia ha molto bisogno. Possono aggiungere utile autorevolezza ad un ambiente che nei palazzi della politica e nelle amministrazioni dove si decidono i percorsi, ne ha pochissima. Possono dare dignità a tematiche che da noi devono ancora uscire, nella considerazione di molti, da una sorta di limbo immobile. Possono spezzare circoli viziosi molto italiani, come per esempio quello che l’innovazione sia materia che riguarda sempre e solo gli altri e che Internet e le tecnologie in genere siano in fondo ambienti buoni per smanettoni con molto tempo libero.
È del resto quello che in molti stiamo cercando di fare da anni, e certamente Wired potrà dare una mano in questo senso. Mettere in buona luce un mondo nuovo al quale non siamo solo affezionati ma dal quale crediamo possano domani nascere concreti miglioramenti per la vita di tutti. Può tutto questo passare anche – nella peggiore delle ipotesi – attraverso una pubblicazione mensile patinata di un grande editore internazionale in un periodo in cui la “fine della carta”, la trasformazione dei giornali e il cambio di scenario informativo sono tematiche all’ordine del giorno? La risposta, dal mio punto di vista, è che può. In bocca al lupo.
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