In questi giorni è comparsa la notizia di un gruppo rock italiano che avrebbe inserito sul popolare circuito YouTube materiale dichiaratamente antisemita e razzista scatenando un’ondata di prevedibili polemiche. L’occasione è utile per definire i contorni dei potenziali reati compiuti immettendo materiali razzisti su internet o comunque compiendo atti di incitamento all’odio razziale.
La materia dei reati di opinione prevista dalla cosiddetta “legge Mancino” del 93 (che a sua volta aveva modificato la Legge reale del 1975, approvata in piena emergenza terrorismo) prevedeva al primo comma dell’art 1 che sia punito “A) con la reclusione sino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;” A seguito di una riforma operata nel 2006, le sanzioni si sono ridotte notevolmente e la norma è stata riformulata, oggi infatti la stessa sanzione penale è stata ridotta, essendo ora prevista la pena alternativa della multa, sino ad euro 6000, o della reclusione, sino ad anni 1 e mesi 6, contro la sola pena della reclusione sino a 3 anni, precedentemente prevista.
Le condotte tipiche sono state modificate dalla “diffusione” alla propaganda mentre dall’incitamento si è passati all’istigazione.
Orbene da più parti si ritiene che le norme debbano essere modificate in modo restrittivo, tornando, si presuppone, all’antico.
L’occasione potrebbe essere ghiotta per adottare misure restrittive nei confronti della libertà di espressione, per il solo fatto che opinioni (che non sono opinioni ma reati) siano destinate a circolare su internet.
Non ci sarebbe infatti niente di più sbagliato che invocare norme più restrittive sull’internet basandosi su fatti di cronaca che non hanno niente a che vedere con la libera diffusione del pensiero, basandosi peraltro su “presunti” buchi normativi che non esistono.
Nel passato “l’operazione” di creazione di nuove norme che sarebbero state in grado di tutelare meglio i cittadini di fronte a insorgenti forme di reato è servita per placare l’opinione pubblica di fronte a fatti di cronaca, introducendo una normativa d’emergenza che poi, finita l’epoca delle polemiche, rimane e pesa sulla vita dei cittadini.
Non credo inoltre che il semplice innalzamento delle pene per determinati tipi di reato sia infatti in grado di fermare la stupidità di chi decide di delinquere difendendosi dietro il mezzo telematico.
Un altro punto interessante dell’intera vicenda è la responsabilità del network che ha ospitato le immagini.
La diffusione tramite i circuiti di social network di contenuti illeciti (diversi peraltro dalle idee fondate sulla superiorità razziale) ci riporta immediatamente alla mente casi del passato (alcuni dei quali peraltro ancora in fase dibattimentale). E qui in effetti ci troviamo di fronte ad un film già visto, aggravato però dal titolo di reato ipotizzabile, in occasione della citazione a giudizio dei dirigenti di Google Video. In quel caso si trattava della diffusione di un video contenente le violenze esercitate nei confronti di un disabile al punto che il pm Francesco Cajani di Milano ipotizzava la responsabilità dei dirigenti per avere “offeso la reputazione dell’Associazione Vividown” e del ragazzo vittima del video, “consentendo che venisse immesso per la successiva diffusione a mezzo internet, attraverso le pagine di Google Video Italia e senza alcun controllo preventivo sul suo contenuto”, un filmato in cui i compagni di scuola “ledevano i diritti e le libertà fondamentali nonché la dignità degli interessati”.
Anche in questo caso dovremmo domandarci, come già fatto da autorevoli commentatori su queste colonne, cosa si intenda per diffusione su una rete internet di immagini, idee etc etc, e se possa ipotizzarsi una responsabilità da mancato controllo tale da configurare (come sembrerebbe essere accaduto nel caso del disabile) addirittura l’ipotesi del concorso nella commissione del reato di propaganda o di istigazione all’odio razziale.
Il caso della diffusione di idee razziste su internet è stato peraltro affrontato negli scorsi giorni dal popolare social network Facebook che ha annunciato un controllo più serrato sui gruppi in grado di veicolare idee di superiorità razziale.
Peraltro va detto che nel caso del gruppo rock che ha inserito materiali razzisti il gestore del portale ha immediatamente provveduto a rimuovere i video contestati, adeguandosi quantomeno a quanto previsto dagli articoli del dlgs 70 del 2003 in tema di “controllo successivo” alla commissione dell’illecito da parte del provider.
Si tratterà di verificare se anche in questo caso l’intervento possa essere ritenuto sufficiente ad escludere forme di responsabilità ovvero se tale intervento possa considerarsi comunque tardivo.
Fulvio Sarzana di S.Ippolito
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