Quanti “amici” avete su Facebook? Io in questo momento 549: sono tutte persone che conosco davvero, che ho incontrato di persona e di cui mi fa più o meno piacere sapere se hanno mal di testa, com’erano nelle loro foto delle elementari e se hanno deciso di partecipare al gruppo “Sono più scema di te”. Sono tantissimi, ma mi piacciono tutti e mi piace Facebook che mi ha permesso di tornare in contatto con loro, persi di vista da anni o meno.
549 amici sono tantissimi e ne ho rifiutato almeno altrettanti: tutti quelli che non conosco, che non ho incontrato di persona (criterio che non uso per nessun altro social network) e di cui preferisco ignorare le piccole gioie quotidiane. Ted Leonsis, invece, un venture capital americano, ha 4.995 “amici”, molto vicino quindi al limite della piattaforma che è di 5mila. Non a caso, per Ted Facebook “comincia a diventare pesante da gestire”. Per altri, come Robert Scoble o Loic Le Meur, è invece assurdo che ci sia un limite: se uno conosce decine di migliaia di persone deve poterle aggiungere tutte.
Ogni tecnologia trova il suo vero scopo grazie agli usi che ne vengono fatti: le intenzioni di chi la sviluppa tendono a lasciare il passo agli utilizzi reali, a volte senza dover neanche modificare l’hardware o il software (valga per tutti l’ esempio del fonografo nato come strumento per dettare le lettere alle segretarie). Le tecnologie cambiano il loro ruolo anche nel tempo, soprattutto grazie al sopraggiungere di altre: così come la televisione ha spostato la radio dal salotto al cucina, oggi Internet sta spostando la televisione dal centro dell’attenzione a rumore di fondo. Se quando si progetta una community si propone uno strumento inadatto alle esigenze di comunicazione degli utenti, questi lo piegheranno alle loro esigenze: se quel che vogliono è una chat e tu gli dai un forum, loro chatteranno sul forum, forumizzeranno un blog e così via.
La resilienza è sicuramente un elemento di sopravvivenza e di adozione delle tecnologie, mentre la rigidità non ne aiuta la diffusione: questo però non significa che sia possibile o ragionevole usare in modo del tutto personale qualunque strumento. Se vuoi, certo, puoi usare un martello come mestolo, così come puoi usare Facebook per seguire persone che non conosci bene, ma guarda caso per girare il brodo è meglio un mestolo e per fare nuove amicizie è meglio un social network aperto e basato sulla condivisione di contenuti.
Facebook è un ambiente nato e pensato per massimizzare l’intimità, non per favorire le nuove conoscenze: non è una piattaforma che valorizza la qualità in sè dei contenuti, ma la qualità per te delle espressioni di persone a cui vuoi bene. Non a caso la maggior parte delle persone che si lamentano dell’invasività di Facebook sono persone che accettano chiunque le aggiunga, nella malintesa (ma interessante) convinzione che sia maleducato o snob ignorare la richiesta di chi non conosci o di chi non ti piace. Certo, se ci siamo persi di vista c’era un motivo, e a volte veder rispuntare certe persone non è piacevole: a maggior ragione però si può esercitare il proprio diritto di pigiare “Ignore”, con o senza un messaggio di spiegazioni.
Il valore del tuo social network sta nel valore delle persone che ci lasci entrare: può essere puramente relazionale, come nel caso di Facebook, o di relazione e contenuto insieme, come per esempio nel caso di Flickr, dove posso voler vedere le tue foto perché sei tu o perché fai belle foto. Sta di fatto però che per moltissime persone – e di nuovo, sono quelle che dopo un po’ si lamentano – Facebook è un contenitore di chiunque capiti dalle mie parti e clicchi su “Add as a friend”. Cosa succederà? Cambierà il sito o cambieranno gli utenti?
Progetti come Facebook Connect , che permetterà la partecipazione con la stessa utenza ad altri siti come Digg, vanno nella direzione di comunicare implicitamente che Facebook non si propone più come ambiente parallelo a Internet, in cui fare tutto quello che serve senza dover mai uscire. Questo potrebbe spingere molte persone a usarlo solo o soprattutto come ambiente protetto e privato quale è per gestire relazioni personali. Viceversa Facebook potrebbe assecondare gli utilizzi concreti e introdurre una relazione asimmetrica, per cui se io voglio seguire Tizio e non Caio, lui può comunque vedere una parte del mio profilo (c’è un abbozzo di funzionalità simile con il Profilo Limitato, ma io compaio comunque tra gli “amici” di Tizio).
A mio parere la maggior parte dei problemi di comprensione di come utilizzare Facebook al meglio nascono da un cattivo uso del linguaggio, non da difetti tecnologici di progettazione e di interfaccia (sensibilmente migliorata dopo l’ultimo restyling). “Add as friend”, in italiano “Aggiungi agli amici” è praticamente un nonsense che genera il malinteso che gli “amici” di Facebook siano un’altra cosa rispetto agli amici “veri”, tanto è vero che il messaggio che appare sul news feed è “Mafe e Tizio hanno stretto amicizia”, che oltre a essere uno strano italiano, implica una relazione che nasce in quel momento in quell’ambiente, non che preesiste.
Anche per quanto riguarda le Pagine da dedicare a personaggi e prodotti, la dizione “Diventa fan” è abbastanza povera di informazioni: io posso essere un Fan di Woody Allen, un affezionato cliente di Apple, un lettore di Vogue e così via. Da questo punto di vista gli spazi di miglioramento sono notevoli e una maggiore attenzione al linguaggio è indispensabile: la maggior parte degli annunci promozionali su Facebook sembrano scritti da un analfabeta ubriaco, aumentando il disagio – già notevole – della presenza di pubblicità in uno spazio assai privato.
Il fallimento dei primi tentativi di pubblicità che usa i tuoi amici come testimonial potrebbe proprio essere dovuta alla povertà delle relazioni di chi non seleziona a priori chi accettare come “amico”: una cosa è sapere che la tua compagna di classe del liceo ha appena comprato l’ultimo libro di Alice Munro, un’altra sapere che l’ha fatto uno che neanche sai se ha fatto il liceo.
Mafe de Baggis
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