Passaggio in India

Passaggio in India

di Marco Calamari - Sotto i marciapiedi voragini pericolosissime dove nel fango giacciono insieme tubi arrugginiti, cavi telefonici, fibre ottiche, cavi di corrente ed altre entità. Pulsa Bangalore, la Silicon Valley indiana
di Marco Calamari - Sotto i marciapiedi voragini pericolosissime dove nel fango giacciono insieme tubi arrugginiti, cavi telefonici, fibre ottiche, cavi di corrente ed altre entità. Pulsa Bangalore, la Silicon Valley indiana

Non so bene come sia successo, ma lavorando per una grande multinazionale mi trovo oggi su un Airbus A330, con il braccio ancora gonfio per le vaccinazioni e in viaggio verso l’India, dove arriverò tra quasi dieci ore di aereo.
Sto sperimentando le delizie della Business Class, di cui conoscevo l’esistenza solo in teoria, ma invece di dormire nel comodo lettino motorizzato mi sparo film di prima visione a raffica sul televisore personale incassato nello schienale di fronte.
Sono diretto a Bangalore, città di media grandezza (solo 3 milioni di abitanti!) nel sud dell’India che è l’equivalente di Cupertino in California; è una delle zone economicamente più sviluppate, e certamente il cuore dell’industria informatica indiana.

Bangalore Non sono mai stato particolarmente affascinato da questo paese, non più che da tanti altri paesi stranieri mai visti, quindi questi appunti di viaggio potrebbero fornire un punto di vista diverso dai soliti diari, spesso viziati da una sindrome di Stendhal spostata di diecimila chilometri.

Sorpresa!
Mi avevano descritto l’aeroporto di Bangalore come un po’ dimesso ma vicino alla città, ma questo dove sono atterrato in piena notte mi sembra decisamente diverso, scintillante e molto grande; la macchina che ci porta all’albergo poi non arriva più.
Scopro che l’aeroporto è nuovo di zecca, aperto solo tre mesi orsono, e che l’altro molto più vicino alla città è stato chiuso. Altro che la storia infinita di Malpensa; il decisionismo qui impera, e lo Stato locale (Karnataka – l’India è una federazione come gli Stati Uniti) fa il suo lavoro con rapidità. Comunque tutto il mondo è paese e le polemiche che chiedono la riapertura di quello vecchio sono già iniziate.

Un benvenuto formato King Size
Mi sono dimenticato di dirlo ma sono quasi le due del mattino, quindi l’arrivo all’albergo dopo diciotto ore di aerei ed aeroporti sembra quasi un sogno. Un ammiraglio in alta uniforme ci accoglie in ottimo inglese e con il saluto tradizionale “Namaste” (saluto a mani giunte che significa “Onoro gli aspetti della divinità che sono in te”) mentre un nobiluomo con altissimo turbante rosso ed oro si precipita ad aprirci la porta. Dentro tre o quattro signori e signorine sorridenti ed in divisa sono schierati alla reception. A Milano invece li devi chiamare e stentano a dirti “Buonasera”; chissà perché.

Sorprese!
Un sorridentissimo impiegato accompagna me e il mio compagno di ventura verso le agognate camere, che sono piuttosto faraoniche; il bagno ha una intera parete a vetri che affaccia sulla camera, completa di tenda avvolgibile, utile per dosare privacy ed esibizionismo.
Accomodato il mio collega, vengo accompagnato verso la porta accanto, dove il mio anfitrione si sbizzarrisce in una lunga quanto infruttuosa serie di passaggi della smartcard. Eseguiti una ventina di tentativi il suo sorriso si appanna leggermente, e vengo con mille scuse abbandonato in corridoio.
Dopo qualche minuto riemerge e mi apre la porta di una camera vicina, meno faraonica, un po’ calda ma ancora più agognata. Lo caccio quasi via e comincio ad aprire la valigia. Il caldo, 24 gradi, insieme ai vetri sigillati consiglia una rapida accensione dell’aria condizionata. Sorpresa, l’apposita scatoletta non reagisce a qualunque combinazione di interruttori e cursori.
Recupero il mio anfitrione che poco convinto della mia diagnosi passa qualche minuto a fare le sue prove, e dopo mi comunica che verrà chiamato il grande esperto.
Sono ormai quasi le tre quando un altro distinto signore arriva, estrae un cacciavite di mezzo metro con cui tenta di svitare una vite di 4 millimetri. Dopo una nutrita serie di altri atti sciamanici conclude che sì, in effetti l’aria condizionata non funziona.
Nuove scuse, nuova attesa per un’altra camera. Per fortuna che nel frattempo ho adocchiato una presa ethernet nel muro e sto facendomi passare la crisi di astinenza. Altre scuse, nuova camera, questa volta nuovamente di tipo faraonico; parte una nutrita serie di istruzioni orientate probabilmente all’ottenimento di una mancia; non ho contanti e quindi serro il malcapitato verso la porta e finalmente riesco a chiuderlo fuori. Mi avvicino al letto, pensando alla tecnologia indiana, e poi non ricordo altro.

Panorama dall’alto
Suona la sveglia, che mi vede raggiungere la doccia sui gomiti (ho dormito meno di tre ore); rinfrancato apro la tenda della vetrata e scopro che la mia stanza si affaccia sulla strada, dove dirimpetto c’è un bellissimo campus all’americana (sede di SAP) con grattacieli vari, grandi aiuole, ingresso fortificato e portineria sovradimensionata, piena di portieri in divisa e con le ghette, ma anche di paramilitari che guardano con gli specchi sotto le macchine che entrano, in cerca di bombe.

Bangalore 2 Panorama dal basso
Dopo una monumentale colazione in uno dei due ristoranti dell’albergo partiamo in macchina per un altro campus, dove lavoreremo per una settimana.
Dal basso il panorama non è esaltante, e non sono le macchine, scaciate sì ma non poi molto peggio di certe che si vedono in circolazione anche da noi. Sono le strade, in cui l’uso del clacson pare essere una costante. Le corsie sono separate da un cordolo di cemento di 15 centimetri su cui l’eventuale pedone che desiderasse andare dall’altra parte è costretto a sosta equilibristica in attesa di poter attraversare.
I marciapiedi sono un optional, tranne che davanti agli alberghi ed ai palazzoni. La terra rossa la fa da padrone, riempiendo i margini della strada, evidentemente mai turbata da nessuna attività di nettezza urbana.
Alla prima traversa inizia un quasi-fuoristrada, che termina di fronte ad un altro bellissimo campus sempre con portineria sovradimensionata. Sono arrivato.

Workdays 8-20
Poco c’è da dire sulle giornate di lavoro, svolto con orari superprolungati. Sì, perchè molta gente qui lavora in squadra con persone negli Stati Uniti, e quindi per come sono messi i fusi orari devono per forza fermarsi fino a sera. Per noi ha voluto dire arrivare in albergo la sera stanchi morti, scegliere uno dei due ristoranti, mangiare ed andare a letto come bravi ragazzi.

Sono così bravi gli indiani?
Sì, molto, ed anche no. Questa descrizione quasi veltroniana merita senz’altro una spiegazione, altrimenti il collega di “Lavoro IT” mi giudicherà inadempiente. Premetto che questa è una estrema sintesi della mia esperienza lavorativa nel cuore informatico dell’India. L’India infatti è grande, e magari la situazione altrove potrebbe essere completamente diversa.
I lavoratori IT indiani hanno una grandissima reputazione in Italia, molta specializzazione e costi mediamente tre volte inferiori a quelli europei. Qui si trovano specialisti di tutte le competenze dell’informatica, particolarmente di quelle verticali. Se avete bisogno di una persona che lavori in PL/SQL, Java o.Net qui ne trovate quanti volete, al livello di specializzazione e certificazione che volete, anche galattico con “C” d’oro e 3 diamanti.
Ma la specializzazione generalizzata ha conseguenze. Un gestore di un progetto software medio piccolo, che debba andare avanti mediando tra diverse situazioni pregresse, con specifiche solo parziali ed un occhio al risultato qui non si trova, od almeno non lo si trova in queste grosse realtà. Pare che la popolazione dei lavoratori IT italiani ed indiani siano poco sovrapponibili come competenze operative.

Cibo
Chiunque si sia avventurato in questi paesi sa che si debbono usare precauzioni igieniche stringenti, altrimenti i nostri poveri anticorpi occidentali verrebbero sopraffatti dai batteri che qui somigliano a Schwarzenegger, costringendo, se va bene, ad esaminare attentamente ed a lungo le mattonelle del bagno.
Niente ghiaccio, lavarsi i denti con l’acqua minerale, bere solo roba portata a tavola ancora sigillata, mangiare cibi caldi e piccanti.
“Beh – pensavo – io che sono anche un po’ schizzinoso nel mangiare ne approfittero’ per una cura dimagrante di cui ho senz’altro bisogno”.
Bene, è andata male. Non dal punto di vista sanitario, non ho avuto niente, ma da quello della dieta. Invece di dimagrire sono ingrassato ulteriormente, perché ho mangiato benissimo cibi deliziosi e sfiziosi. Molto piccante, ma come ex-convivente di una ragazza di origini calabresi non ho avuto problemi insormontabili. Il 70% degli indiani è vegetariano o giù di lì, quindi alimenti senza cose strane dentro ce ne erano quanti si voleva. Diversi tipi di cucina, inclusa quella Thai ampliavano ulteriormente la scelta.
Abbondano i ristoranti di lusso a prezzi ridicoli, ma anche la mensa del campus era eccellente; un enorme tendone tipo festa al mare di centinaia di metri quadri, e più ditte di catering in concorrenza tra loro garantivano un ambiente piacevole e vario. Qui la temperatura è abbastanza costante e piacevole, tanto da permettere una mensa quasi all’aperto tutto l’anno.

India lunatica L’India sulla Luna
Mi sono fatto un punto d’onore di cercare di vivere per quanto possibile la realtà di questo posto, quindi ho abolito stampa e TV estere ed ho letto solo quella nazionale. Le trasmissioni televisive tentano in maniera evidente di rinforzare e tenere vivo lo spirito di identità nazionale, che è una sovrastruttura necessaria per pacificare e rendere stabile e produttiva la convivenza tra una dozzina di popoli ed etnie diverse.
La notizia sulle prime pagine di questi giorni è l’arrivo in orbita circumlunare di un satellite indiano, che ha lasciato cadere sulla Luna un penetratore balistico con alcuni piccoli strumenti. Un sasso lanciato sulla Luna, insomma, ma una eccellente prova tecnologica (su cui tornero’) “pompata” al massimo al grido di “Siamo la quarta potenza mondiale sulla Luna”.

Terrorismo
Sui giornali e sulle televisioni viene martellata, in maniera quasi ossessiva, la caccia ad un Bin Laden locale, santone, grande informatico (qui basta avere un laptop per esserlo) e primula rossa che è riapparso pubblicamente almeno tre volte sotto nomi diversi a predicare il terrore.
Visto che predicava pubblicamente perché non l’hanno già preso? Boh, non eccediamo nelle facili ipotesi. Pare sia la mente dietro una serie di attentati ai treni di due anni fa, in cui si sospetta la longa manus degli eterni nemici pachistani.
Anche qui purtroppo accade che ogni paio d’anni ci sia qualche sensazionale fatto di sangue di tipo terroristico (Cassandra docet, purtroppo: questa parte è stata scritta parola per parola, lo giuro, prima dei fatti di Mumbay).

Guerra atomica
Sono ormai in una certa confidenza con alcune persone, e provo a fare anche domande scomode. L’Agenzia Internazionale per L’Energia Atomica considera ormai da decenni la frontiera indo-pakistana come il posto dove un conflitto nucleare ha più possibilità di accadere.
La rivalità tra i due paesi è antica e strutturale (etnie, religioni etc.).
Alla domanda se questo non preoccupasse il cittadino comune la risposta media (per me sorprendente) è stata che il Pakistan non fa più paura perché è, nell’opinione dei miei interlocutori, un paese economicamente ed industrialmente ormai vicino ad un collasso totale, tipo ex-Unione Sovietica.

Infrastrutture
Ecco, il problema del paese lo si tocca con mano qui. A parte le zone dei campus delle multinazionali, anche nel centro città di Bangalore (lo ricordo, paradiso dell’informatica) la situazione è poverissima e degradata.
Nei marciapiedi, che hanno sotto una trincea dove passano tubi e cavi, ci sono voragini pericolosissime lasciate aperte in permanenza. Nella sottostante trincea fangosa giacciono insieme tubi arrugginiti, cavi telefonici, fibre ottiche, cavi di corrente ed altre entità indefinibili (forse pitoni morti) saldamente legati insieme con giri di filo di ferro arrugginito.
La palificazione dell’energia elettrica è fatta con i pali di 4 metri tipo paese di montagna, che normalmente tengono due o tre cavi; qui chiunque ne avesse bisogno ci è passato sopra con qualsiasi cosa, e quando il palo ha iniziato (lo giuro) a piegarsi lo hanno puntellato con un altro palo messo in diagonale. Una notte ho prima sentito e poi visto una scena tipo laboratorio del dott. Frankenstein: un arco elettrico che ogni paio di secondi scaricava con un pregevole effetto scenico sia visivo che ottico. Sono prontamente passato sull’altro, chiamiamolo così, marciapiede, ma il giorno dopo sul palo era ancora in proiezione lo stesso film dell’orrore.

Il tempio di Shiva
Sì, non poteva mancare nemmeno a me. Sabato un collega indiano ci ha portato in giro a vedere le cose vere.
Prima fermata un tempio di Shiva. Non è come me l’aspettavo, antico, ma è costruito insieme e dentro un centro commerciale; le statue di 20 metri ci sono, lucide ed imponenti incutono rispetto pur essendo fatte probabilmente di ordinario cemento armato.
“Bisogna togliersi le scarpe, la cosa non vi mette mica a disagio?” La mia faccia vale probabilmente un murales, ma mi faccio forza e sperando in un effetto barriera dei calzini mi avventuro nella visita. Gente in posizione del loto, anche se con i Seiko al polso, molta gentilezza e tranquillità, qualche baracchino di simil-santini, una via crucis fatta con le incarnazioni di Shiva in una galleria buia. Molto serio, meritevole di rispetto, all’uscita un cartello elenca gli orari della mensa per i poveri. Mi ha rasserenato. Pero’ i calzini li ripongo separatamente in un sacchetto sigillato di politene ed a casa li passero’ sotto un raggio protonico!

Conflitti religiosi?
Nel vicino centro commerciale c’è un intero scaffale, tipo supermercato pieno di piccoli idoli, tutti fatti della stessa plastica dipinta. File ordinate di piccoli Budda, Shiva, Madonne, Ganesh, Confucio, Cristi in croce, Famiglie di Shiva, Sacre famiglie, Visnù, in vari prezzi e varie altezze. I conflitti di religione letti sui giornali si stemperano in questa omologazione consumistica.

Vivere
Beh, le condizioni igieniche sono critiche come è ben noto; vedendo i mercati alimentari con le bancarelle scoperte in mezzo a vie polverose (perché non piove, senno’ sarebbero fangose) fa apprezzare molto le misure profilattiche e le abitudini che mi sono imposto. Una scena dell’orrore la devo proprio raccontare. Agli angoli delle strade ci sono spesso quei carrettini a due ruote, qui fatti in casa con ruote da bicicletta, con un pianale leggermente inclinato su cui il gestore espone mercanzia, quasi sempre alimentare; frutta sbucciata e non, pistacchi ed altre cose di pronto consumo sono frequentissime.
Mi trovo a passare lungo il margine della strada in un luogo affollatissimo, vicino al centro commerciale. Noto che uno dei rari chiusini di fognatura sta allegramente facendo zampillare un liquido dal colore esplicito che forma un rigagnolo lungo decine di metri al margine della strada.
All’incrocio successivo un carrettino espone frutta ed ananas sbucciati. Una macchina si avvicina al margine, prende in pieno il rigagnolo ed uno schizzo del fluido sopraddetto coglie in pieno carrettino, mercanzia e proprietario.
Dopo una serie di urla incomprensibili ma chiarissime rivolte dal proprietario all’auto appena passata, questi si scrolla di dosso alla meglio le gocce, prende uno ad uno gli ananas, li scrolla per sgocciolarli e li rimette a posto. Buon appetito!

Vivere 2
Una cosa è certa, anche se nella modestia più assoluta qui si tenta fortissimamente di dare un lavoro a tutti; per qualunque mansione, anche piccola ed umile, c’è una persona sorridente che la svolge, spesso in divisa per sottolineare il proprio ruolo. Forse in altre zone la situazione sarà diversa, ma qui si percepisce chiaramente lo sforzo dello Stato nel creare, per quanto possibile date le condizioni economiche, coesione sociale ed opportunità di sviluppo anche per i poveri; è una sensazione che in Italia purtroppo non ho mai provato.

L’Internet Point
Sapete, la notte prima della partenza, intorno alle 5 del mattino un conciso SMS mi ha comunicato che il mio volo (Air France, non Alitalia) era stato cancellato e ti saluto, alla faccia della presunta grandeur d’oltralpe. Panico notturno, insonnia fino al mattino, poi per fortuna il solito amico indiano si è attivato ed in maniera efficacissima in un paio d’ore ci ha trovato un volo per il giorno dopo.
Il biglietto pero’ è elettronico, quindi serve un internet point per stamparlo, visto che al lavoro non passeremo più. Menomale che siamo nel centro della Silicon Valley indiana.
Di fronte all’agenzia di viaggio (due bandoni tipo garage semiaperti) un cartello Internet Point fa bella mostra di sé.
Il posto è un 3×3 metri, 3 computer tipo trashware (ma con Skype e webcam) lungo una parete, mentre banchetto della cassa, altarino con coroncine di fiori e gruppo di continuità sono lungo l’altra.
L’impianto è uno spettacolo; tre batterie morchiose tipo camion con fili colorati che entrano in una scatola che probabilmente contiene un qualche regolatore, da cui escono due ciabatte fissate con chiodi su una tavoletta. Nemmeno all’Hackmeeting ho visto qualcosa di simile! D’altra parte qui la fame di energia elettrica è incredibile; dalla prossima settimana staccheranno a rotazione per 4 ore l’energia sia in città che in campagna. Staccheranno, non potrebbero staccare. Ecco cosa provoca lo sviluppo economico senza investimenti ed infrastrutture. Persino nella Silicon Valley.

India lunatica 2 Un altro mondo
Abbiamo visitato un modesto ma interessantissimo museo dell’industria aerospaziale. Qui hanno iniziato pulendo i carburatori e riparando le forature dei bombardieri Dakota durante la seconda guerra mondiale e poi, con la massima umiltà ma grande industriosità, hanno cominciato a fare manutenzioni sempre più sofisticate a motori e turbine, a produrre parti su licenza, poi aerei interi, poi a progettare un aereo autonomamente, poi qualche missile, poi un lanciatore commerciale che porta 2500 chili in orbita geostazionaria.
Ecco come e perché sono andati sulla Luna. Un bel motore di apogeo sovradimensionato come carico pagante, qualche scambio tecnologico con i russi per fare il satellite ed il futuro rover lunare ed il gioco è fatto.
Si percepisce una forte volontà e perseveranza di cui in Italia avremmo senz’altro bisogno.

La giardiniera
Il museo era pieno di bellissime aiuole di centinaia di metri quadri, tenute all’inglese. Mi ha colpito come un maglio una cosa che ho visto. Qui ormai le caste sono vietate, ma se ne respira l’esistenza sullo sfondo in molte situazioni.
In un’aiuola che si estende a perdita d’occhio vedo seduta a terra una donna in sari, con una ciotola di legno accanto.
L’erba accanto a lei è attraversata da una strana linea ondulata che divide l’aiuola in due zone di colore leggermente diverso.
Mi avvicino e vedo che la donna sta utilizzando un paio di pinzette con cui strappa i fili di erba uno ad uno, mettendoli nella ciotola accanto a lei. Sta eliminando le erbacce in questo modo, ripulendo una zona intorno a lei e poi spostandosi di lato, creando così temporaneamente quella strana linea ondulata.
Appartiene probabilmente ad una ex-casta di umili od intoccabili, e probabilmente si ritiene fortunata; qui i più poveri si assomigliano molto, come un popolo dentro un altro popolo. Non credo che la dimentichero’ mai.

Il ritorno
… non è mai bello come l’andata, anche a causa di un mal di schiena feroce. Pero’ non ho trovato molte cose che mi aspettavo, e ne ho trovato tante che non mi aspettavo. Un bel viaggio quindi, in un posto vero e lontano dai luoghi comuni.

Marco Calamari

Tutte le release di Cassandra Crossing sono disponibili a questo indirizzo

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Pubblicato il
5 dic 2008
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