Lo studio guidato da John Johnson per l’ Istituto di Astronomia dell’Università di Manoa (Hawaii) di per sé non fa nulla di particolarmente nuovo: sfruttando consolidate tecniche di fotometria , vale a dire la misura della intensità della luce emessa da una stella , tenta di risalire alle dimensioni di un pianeta che le orbita attorno in base alla flessione della curva risultante dall’osservazione visuale tramite il telescopio. A differenza del passato, tuttavia, il gruppo di Jonhson riesce a farlo con precisione molto maggiore: e i primi risultati saranno presto pubblicati sulla rivista Astrophysical Journal Letters .
Il nucleo di questo interessante risultato, che ha consentito di rivalutare il diametro di WASP-10b , un pianeta di tipo gioviano che orbita attorno ad una stella a circa 300mila anni luce dalla Terra. Da tempo noto agli scienziati per via di alcune misure singolari sulla sua massa, per lungo tempo era stato ritenuto un gigante rispetto ad il suo omologo del Sistema Solare: lo studio dell’università del Pacifico ha invece dimostrato che WASP-10b ha un diametro maggiore di quello di Giove di appena il 6 per cento, a fronte invece di una massa totale pari a circa tre volte quella del quinto pianeta che orbita attorno al Sole.
Dietro questa aumentata precisione c’è un nuovo tipo di sensore incorporato in una telecamera montata sul telescopio di 2,2 metri di Mauna Kea : si chiama OPTIC (Orthogonal Parallel Transfer Imaging Camera), ed è stata progettata e realizzata in proprio dall’istituto astronomico hawaiano. Di fondo la tecnologia con cui viene assemblata non è molto diversa da quella di un CCD presente in molte fotocamere e videocamere amatoriali e professionali, con la differenza che i singoli pixel garantiscono una maggiore tolleranza rispetto al rumore di fondo e alla quantità di luce massima registrabile.
Una tecnologia simile opera già da tempo all’interno di Pan-STARRS ( Panoramic Survey Telescope And Rapid Response System ), un altro sensore montato su uno strumento da 1,8 metri dello stesso osservatorio nel Pacifico: in quel caso si parla di una sensibilità complessiva di 1,4 miliardi di pixel , ottenuti grazie alla combinazione di migliaia di singoli CCD da 600×600 pixel disposti in una matrice quadrata, con ogni lato costituito da 64 sensori. Ciascun pixel, inoltre, viene ottenuto combinando tra di loro i dati forniti da cinque sensori disposti a croce – da cui la definizione orthogonal transfer CCD (OTCCD).
Nel caso di OPTIC, questa nuova implementazione ha garantito un miglioramento di tre o quattro volte nelle misurazioni fotometriche a parità di strumento osservativo rispetto ad un sensore CCD qualunque, e il raddoppio della capacità complessiva rispetto ad un prodotto professionale. Gli scienziati si sbilanciano nell’affermare che il loro OPTIC sarebbe in grado di rilevare “il passaggio di una falena davanti a una finestra dalla distanza di 1.600 chilometri”: più probabilmente, si potrebbe affermare che le caratteristiche del sensore lo pongono alla pari con le più recenti elaborazioni fornite dal telescopio orbitante Hubble .
Luca Annunziata