Intel spiega Classmate

Intel spiega Classmate

Lila Ibrahim, responsabile per il chipmaker di Santa Clara del progetto, racconta a Punto Informatico come si evolverà. Con un occhio a quanto è già accaduto e uno a quanto deve ancora succedere
Lila Ibrahim, responsabile per il chipmaker di Santa Clara del progetto, racconta a Punto Informatico come si evolverà. Con un occhio a quanto è già accaduto e uno a quanto deve ancora succedere

Las Vegas (NV) – “Tutto questo non ha solo a vedere con dare un computer ad un bambino, ma è piuttosto un tentativo di costruire una infrastruttura scalabile e sostenibile: è un catalizzatore che mette assieme il computer, il software, i produttori OEM, i fornitori dei componenti e anche l’infrastruttura di un paese. Per garantire un servizio completo bisogna ad esempio connettere i cittadini a Internet: Classmate non è una soluzione a tutti i problemi, ma un tassello che assieme ad altri può migliorare un’aula scolastica”.

Lila Ibrahim L’idea di Intel di lavorare a un prodotto per il comparto scolastico, spiega a Punto Informatico la responsabile per l’azienda di Santa Clara della piattaforma per i mercati emergenti Lila Ibrahim , è frutto di dieci anni di impegno continuato in questo settore e di circa un milione di PC già donati ad altrettanti giovani studenti di tutto il mondo: Classmate, giunto in questi giorni alla sua terza e più multimediale incarnazione, è solo il risultato di questi sforzi e questi investimenti (la cui portata effettiva resta tuttavia un dato riservato).

Ma non va sottovalutata anche la necessità di un cambio di prospettiva: “Abbiamo cambiato il modo di fare ricerca industriale in questo settore: invece di partire dall’hardware abbiamo coinvolto esperti delle società delle etnie del mondo per studiare il comportamento degli alunni direttamente nelle classi e come utilizzano la tecnologia assieme ai loro insegnanti. Abbiamo portato etnografi e sociologi nelle aule per vedere come la tecnologia veniva utilizzata”.

Era importante, prosegue Ibrahim, comprendere il punto di vista dei ragazzi e il loro atteggiamento rispetto al computer: “Se fossi uno studente – dice, afferrando un classmate e stringendolo – questo lo sentirei come mio e di nessun altro: ma vorrei anche essere in grado di poter condividere quello che c’è dentro con gli altri, o di personalizzarne l’aspetto estetico. È per questo che lo schermo si può ruotare, per mostrare agli altri i propri dati, per questo che la webcam ruota a sua volta di 180 gradi per consentire di scattare una foto ai propri compagni, è per questo che si può utilizzare il Classmate come un tablet per scriverci con uno stilo”.

La progettazione, spiega a Punto Informatico , è partita dalle esigenze degli studenti e poi ha cercato le soluzioni tecnologiche per soddisfarle: un approccio top-down , conferma, molto diverso da quello che solitamente viene utilizzato per disegnare e produrre un netbook: “È un prodotto creato appositamente per consentire l’apprendimento”. E, proprio per questo, è importante che si adatti alle diverse condizioni e alle diverse aspettative e necessità di diverse categorie di utenti provenienti da tutto il mondo.

“Mi chiedono spesso – continua Ibrahim – quale sia il giusto sistema operativo e il giusto modello di business per una iniziativa come questa: la verità è che ci sono 1,3 miliardi di ragazzi in età scolare al mondo, e di questi l’86 per cento vive in paesi in via di sviluppo e solo il 14 in paesi industrializzati. Hanno esigenze diverse, non soltanto sul piano economico ma anche delle funzionalità: ci sono alfabeti che sono più facili da disegnare che da digitare, altri che invece si scrivono più in fretta con una tastiera. Ed è proprio questo l’esempio di tecnologia che può aiutare a fare la differenza”.

Il nuovo Classmate non sostituisce il precedente, ma va ad affiancarlo: ciascuno dei due ha caratteristiche peculiari che possono soddisfare diversi tipi di clientela, in uno sforzo che coinvolge anche i partner di Intel per “ampliare e non restringere il portfolio dell’offerta”. E la scelta di affidarsi per la localizzazione alle aziende che tradizionalmente collaborano con BigI nei diversi paesi è frutto, chiarisce Ibrahim a Punto Informatico , della necessità di misurarsi con cognizione di causa con i costumi e le esigenze dei diversi mercati nazionali.

Ciò non esclude, continua, che rivolgersi ai cosiddetti “decision maker” sia la scelta migliore per accelerare il processo di introduzione dei computer a scuola : “Un computer non rimpiazza un docente, è solo uno strumento che quest’ultimo può utilizzare per lavorare con i suoi studenti. Ma un docente va formato per utilizzare questi strumenti, familiarizzare con l’ecosistema che stiamo creando attorno al Classmate”. La questione, precisa a Punto Informatico , non è mai stata semplicemente dare un PC a ciascun bambino: “Nessuna azienda, nessuna nazione può costruire un ecosistema come questo da sola: un’azienda locale lavora con noi alla personalizzazione del reference design per le esigenze locali, coinvolgendo ovviamente nel processo anche le istituzioni, gli educatori e le aziende che sono in grado di produrre software per questo ecosistema”. Il punto, racconta, è che non sempre si parte da situazioni nella quale la tecnologia è già presente in modo massiccio nella società: “All’inizio del 2007, quando questo progetto era agli inizi, ho avuto l’opportunità di compiere un viaggio in Nigeria, uno dei primi paesi dove abbiamo concentrato i nostri sforzi: lì non c’era Internet, non c’erano reti wireless e spesso gli insegnanti non sapevano come utilizzare un computer. In questi casi Intel può mettere a disposizione le tecnologie che sviluppa e di cui dispone, come ad esempio WiMAX, per supplire a queste carenze”.

“Intel è disposta a donare quanto ha di più prezioso per un’azienda di questo settore, vale a dire la ricerca e lo sviluppo, per tentare di trasformare e migliorare il sistema scolastico globale” spiega sorridente Ibrahim: “Ed è tutto conseguenza dell’impegno sociale di Intel: dovunque si trovino, gli studenti hanno sempre in comune l’esigenza di imparare. Che si tratti di un paese emergente o di uno come gli Stati Uniti o l’Italia, la nostra azienda può avere la capacità di far arrivare la tecnologia nelle scuole primarie anche dei paesi più industrializzati”.

“Quello che non cambia – prosegue ancora – è l’entusiasmo che i bambini francesi, australiani o nigeriani dimostrano per queste iniziative. E il nostro è in realtà un investimento che verrà ripagato tra 10 o 15 anni, quando gli studenti di oggi porteranno a compimento il loro ciclo di studi: sarà allora che questi sforzi mostreranno davvero la loro portata, è un investimento fatto oggi per amplificare la competitività di questi giovani sul mercato del futuro e per il loro paese”.

I risultati , a quanto dice, sono già sotto gli occhi di tutti: “Un mese fa ero in Messico, a un’ora da Mexico City: una prima partita di Classmate era stata consegnata solo una settimana prima per un programma sperimentale, ma quando siamo entrati nella classe che aveva ricevuto i PC i ragazzi ci hanno ignorato. Erano talmente concentrati e focalizzati sull’apprendimento che non ci hanno neppure notato: e quando ho chiesto ad uno di loro se potevo dare un’occhiata al suo computer mi ha risposto di no, e che ci avrebbe potuto pensare solo se gli avessi promesso di restituirglielo”.

E lo stesso, spiega Ibrahim, succede in Nigeria dove gli studenti scrivono email all’insegnante spiegandogli che non vedono l’ora che le vacanze finiscano per tornare a scuola. In Messico, dove uno degli studenti ha portato il suo PC a casa e ha aiutato i suoi genitori a mettere in piedi un inventario elettronico del piccolo negozio che gestiscono. E lo stesso succede in India, dove i ragazzi sfruttano le doti del loro netbook per comunicare agli agricoltori qual è il prezzo giusto per il loro raccolto e se ci sono perturbazioni che rischiano di danneggiarlo in arrivo: “I ragazzi vanno a scuola, ricevono l’educazione adeguata e poi tornano a casa e coinvolgono i propri parenti nelle loro esperienze”.

Esperienze che si vanno a sommare con quelle tradizionali che vengono dai libri: “Possono documentarmi sulla meteorologia e i tornado – racconta Ibrahim – E poi posso andare su Internet e guardare dei video o interagire con delle animazioni sviluppate per l’apprendimento”. Che poi i libri arrivino nella forma cartacea o digitale è un problema secondario, ma che comunque non va sottovalutato: “Ci sono molti editori che vengono da noi a chiedere consiglio su come mettere a disposizione del pubblico i propri contenuti in formato digitale, anche per evitare ad uno studente di portarsi sulle spalle il peso di una mezza dozzina di ingombranti volumi”. Sono problematiche sulle quali si sta lavorando, ma per le quali “non c’è ancora una soluzione unica”.

Non si può sottovalutare, inoltre, il ruolo che un computer è in grado di svolgere per amplificare i meccanismi di comunicazione messi a disposizione di un giovane studente: “Lo scopo è quello di far sentire i ragazzi rafforzati da questi strumenti – conclude Ibrahim – di offrire anche ai più timidi la possibilità di attingere ad un bacino di conoscenze più ampio per soddisfare le loro curiosità”. Allo stesso tempo, però, “devono essere in grado di comunicare quanto apprendono agli altri, sempre inseriti in un contesto di comunicazione poliedrico in cui i confini nazionali perdono gradualmente di importanza, a favore di una più libera circolazione della conoscenza che produce benefici investimenti”.

Luca Annunziata

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Pubblicato il 14 gen 2009
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