New York Times: l'informazione ha un prezzo

New York Times: l'informazione ha un prezzo

Dopo due anni di gratuità supportata dalle inserzioni, il quotidiano medita di tornare a farsi pagare per l'online. Le pubblicità non sembra bastare più
Dopo due anni di gratuità supportata dalle inserzioni, il quotidiano medita di tornare a farsi pagare per l'online. Le pubblicità non sembra bastare più

Nel 2007 aveva reso completamente gratuito l’accesso a tutti i propri contenuti digitali. Ora, a meno di due anni di distanza, il New York Times potrebbe tornare a far pagare per la fruizione di parte delle proprie pagine online. È lo stesso direttore del giornale a paventarlo, spiegando che non esistono piani precisi in proposito, ma che si continua a ragionare.

L’ipotesi è stata formulata da Bill Keller nel corso di una chat con i lettori, preoccupati per le difficoltà finanziarie attraversate dal Times in questi mesi. Anche se la gran parte delle entrate dell’online sono tuttora garantite dalle entrate pubblicitarie, ha spiegato, all’interno del Times “continua una discussione vivace e serrata in ordine ai modi per far pagare il nostro lavoro”.

Il direttore, spiega Associated Press , non ha fornito dettagli sui tempi e sui modi con i quali il piano di monetizzazione dei contenuti Internet potrebbe essere attuato.
Tuttavia, allo studio vi sarebbero almeno tre ipotesi. La prima prevede l’introduzione di tariffe forfettarie da far pagare (in maniera esclusiva) ai lettori che sottoscrivono un abbonamento “full-access”. La seconda si basa su un modello di micro-pagamenti simile a quello impiegato da servizi come iTunes, dove gli utenti versano pochi centesimi per l’accesso a ciascuno degli elementi di contenuto. Nel terzo scenario, infine, le entrate vengono realizzate chiedendo un corrispettivo per la lettura delle notizie sui device di nuova generazione, come peraltro già accade con il Kindle di Amazon.

Al centro del ragionamento di Keller, spiega Paid Content , vi è la convinzione che i contenuti di qualità mantengano un valore monetario anche nel mondo online. Per suffragare la bontà dei propri argomenti, il CEO del Times cita anche i risultati economici ottenuti negli ultimi mesi con il programma Times Reader Service, che consente ai lettori di scaricare (a pagamento) una versione digitale del giornale ad alta qualità. “Realizziamo già delle entrate non trascurabili in questo modo – ha argomentato – ciò significa che ci sono già delle persone che pagano per il Times online. Solo che non sono abbastanza. Almeno per il momento”.

Nel settembre 2007 il NYT aveva abbandonato il programma TimesSelect , che prevedeva il pagamento di un corrispettivo per l’accesso ad alcuni contenuti premium come archivi storici ed editoriali delle penne principali. Il ritorno al “tutto gratis” era stato motivato con l’esigenza di massimizzare il numero di accessi alle pagine online, in modo da rendere più appetibile il Times per gli inserzionisti pubblicitari.

Ma adesso lo scenario è diverso. La crisi economica fa sentire i suoi effetti sotto forma di caduta delle entrate pubblicitarie e difficoltà finanziarie, mentre l’aumento costante nel numero di pagine lette online richiede l’individuazione di modelli di business che vadano oltre il tutto gratis .

Di qui l’interrogativo: come farci pagare? Secondo alcuni addetti ai lavori , un inaspettato aiuto potrebbe venire ai giornali dalla stessa Google, in passato al centro di diverse vertenze giudiziarie per via del suo Google News. In particolare, si spiega, BigG potrebbe decidere di dividere con i produttori di contenuti parte dei proventi ottenuti attraverso i loro articoli.

Un diverso modello di business è quello legato all’impiego dei device per la lettura online. Secondo Alley Insider , ad esempio, lo stesso Times potrebbe reinventare le proprie possibilità di guadagno facendo migrare i propri lettori verso device tipo Kindle, ed imponendo loro degli abbonamenti di nuovo tipo.

Giovanni Arata

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Pubblicato il 5 feb 2009
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