È stata una settimana delirante. Non era evidentemente bastato l’articolo del decreto sicurezza approvato dal Senato della Repubblica attraverso il quale le autorità italiane, preoccupate di perseguire l’apologia di reato ed altri reati di opinione, potranno con paciosa semplicità decidere di chiudere all’utilizzo dei cittadini italiani intere piattaforme sociali come Facebook. Un articolo di legge capace di generare commenti e malcelate ironie da parte della stampa di tutto il mondo non era evidentemente sufficiente a placare l’ansia formidabile di controllo che questo governo, e l’intero Parlamento del paese, mostrano di avere nei confronti della rete Internet. Così, nei giorni scorsi, si sono aggiunti un curioso disegno di legge dell’Onorevole Carlucci sulla regolamentazione di Internet ed una ammissione di paternità dell’Onorevole Barbareschi sulla bozza di normativa antipirateria circolata in rete nelle ultime settimane e inizialmente attribuita alla SIAE.
Mi mancano forze e volontà per raccontare ancora una volta, punto per punto, come mai questi tentativi regolatori siano palesemente sbagliati, sono certo che altri lo faranno meglio di me. Non mancano del resto su questo giornale e un po’ dappertutto in rete le analisi puntuali in questo senso, unite ad un sincero e diffuso “inorridimento”. Mi sembra però di poter individuare due punti di contatto evidenti che avvicinano fra loro queste ipotesi normative.
Il primo aspetto è che simili tentativi sono accomunati da una straordinaria e patente ignoranza delle materie in esame. Nella stragrande maggioranza dei casi non esiste probabilmente alcun lavoro preparatorio alle proposte avanzate, non si intravede la consultazione pur minima di alcun esperto della materia, ne l’adesione ad una qualche linea di pensiero fra le tante possibili fra quelle esistenti in campo tecnologico. La grossolanità di simili prese di posizione è da un lato la ragione che facilita l’ironia greve dei commentatori internazionali, dall’altro non fa altro che riaffermare quale sia l’arroganza e l’impreparazione dei nostri legislatori.
Lo stesso senatore D’Alia, incalzato da una gentile intervista telefonica di Alessandro Gilioli dell’Espresso, ha chiarito come meglio non si sarebbe potuto la sua distanza dalla materia che lui stesso propone di normare. Quattro frasi fatte contro i mafiosi su Facebook purtroppo non sono sufficienti a far emergere dalle acque una norma sensata. E l’unico risultato possibile di una simile avventatezza è quello di sollevare l’ilarità altrui o di ricordare ai più catastrofisti le analogie imminenti con paesi come la Cina o la Birmania.
Il secondo aspetto per conto mio significativo, è che non esiste oggi una responsabilità limitata ai “faciloni” del governo di centro-destra. L’humus sul quale nascono simili proposte di legge accomuna parlamentari di entrambi gli schieramenti, senatori novantenni ed eletti di prima nomina (come Marianna Madia del PD, classe 1980 che sul suo blog si è abbondantemente spesa per la necessità di allontanare per legge tutti i cattivi dalla rete). Questo è forse l’aspetto più preoccupante di tutta la vicenda. Nel nostro Parlamento una cultura minima della rete non esiste. La grande maggioranza dei nostri eletti misconosce la centralità di Internet nelle dinamiche dello sviluppo tecnologico. La rete viene considerata una piccola variabile spegnibile, esattamente come un elettrodomestico di cui è possibile fare a meno senza eccessivi impicci. I segnali di questa noncuranza sono ormai quotidiani e incontrovertibili.
Qualche giorno fa la polizia postale, utilizzando una norma approvata ai tempi del mai compianto Ministro Gentiloni, ha celato alla navigazione dei cittadini italiani (e solo a loro) un intero server di Image Shack (un servizio di store fotografico online molto utilizzato in tutto il mondo). Le ragioni di una simile paterna preoccupazione è che “probabilmente” su tale server qualcuno aveva caricato una o più immagini a carattere pedopornografico (così almeno recita il disclaimer sulla pagina). In tempi normali (ed anche oggi probabilmente nei paesi normali) sarebbe bastata una mail al servizio abuse di ImageShack e la rimozione sarebbe stata istantanea come avviene di norma in odiosi casi del genere. Oggi invece in Italia è sufficiente aggiornare una lista di DNS presso gli ISP italiani e il gioco è, per modo di dire, fatto. L’immagine presunta pedopornografica viene celata (anche questo per modo di dire, visto che basta usare DNS differenti per superare il blocco) insieme a molte migliaia di altri contenuti perfettamente legali. La domanda che a nessuno sembra interessare è: quanto contano questi contenuti legali? Che dignità hanno nella mente di coloro i quali decidono arbitrariamente di oscurarli ad una intera nazione? Molto poco evidentemente, esattamente come Facebook per il senatore D’Alia.
C’è una necessità urgente di affermare una dignità minima della rete Internet, come punto nodale dello sviluppo non solo tecnologico del paese ma anche e soprattutto come luogo di una sua possibile rinascita culturale: tutto questo oggi, in Italia, nei palazzi della politica, semplicemente non è possibile. Predomina invece una idea della rete Internet come di un luogo insidioso e pericoloso, un decennio di pessima stampa al riguardo ha infine ottenuto i suoi risultati.
Non è, ovviamente, solo colpa dei media o di una classe politica del tutto inadeguata, le responsabilità sono ampie e condivise e interessano certamente anche i cittadini, incapaci di organizzare una minima risposta a questa folle ansia di controllo che da qualche tempo avvolge l’intero Paese. Ma non c’è oggi maniera migliore dell’osservare cosa accade nella Internet italiana che vedersi scorrere davanti agli occhi il film al rallentatore di uno stato di diritto che si trasforma in uno stato di polizia.
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