Criticata, bistrattata, data per morta e spacciata già parecchie volte, la cosiddetta legge di Moore si prende puntualmente la rivincita su detrattori e tecnologi a cui non sta troppo simaptica. Il numero di transistor contenuti in un singolo microprocessore continuerà a raddoppiare (più o meno) ogni due anni, anzi tale numero potrebbe moltiplicarsi 10, 100, 1.000 volte se le promesse di due team statunitensi verranno mantenute e trasformate in prodotti concreti in un futuro non troppo lontano.
La prima mirabilia nanotecnologica arriva dalla University of Massachusetts , dove Thomas Russell e il suo team internazionale sono riusciti a sviluppare una memoria flash (in grado quindi di ritenere le informazioni come in un disco SSD standard) formata da magneti di dimensioni nanoscopiche. Alla base della memoria c’è una modellazione particolare di un wafer di zaffiro o silicio, in modo che la sua struttura cristallina diventi altamente instabile.
A quel punto i ricercatori hanno riscaldato il materiale sino a fargli raggiungere i 1.400 gradi centigradi, enfatizzando l’instabilità dei cristalli e producendo una struttura modello “denti a sciabola” con avvallamenti regolari riprodotti su tutta la superficie del materiale. Modellando alcuni polimeri su tale superficie si è poi ottenuto un pattern nanoscopico con cui è stato creato un array di magneti di nickel, ognuno dei quali in grado di immagazzinare informazioni in linguaggio binario.
Sin qui la ricerca ha permesso di realizzare nano-magneti larghi non più di 3 nanometri, una dimensione sufficiente per registrare (almeno in teoria) 10 terabit per pollice quadrato di informazioni digitali . Russel sta perfezionando il procedimento per arrivare a 100 terabit per pollice quadrato, ma già così si tratta di un risultato a dir poco straordinario.”Attualmente l’industria sta lavorando su mezzo terabit per pollice quadrato”, dice il ricercatore, “E volevano arrivare a 10 terabit in pochi anni – noi quell’obiettivo lo abbiamo già surclassato”.
Per quanto riguarda i transistori dei processori, poi, il futuro bussa alla porta della University of Pittsburgh grazie al lavoro di Jeremy Levy e dei suoi colleghi, che dagli attuali 45 nanometri delle CPU commerciali Intel Core i7 sono passati direttamente a 2 nanometri . La mirabilia in questo caso nasce dall’impiego di materiali diversi dal silicio, nella fattispecie due forme diverse del minerale comune (ancorché esotico) perovskite , scoperto nel 1839 sui monti Urali da Gustav Rose.
Il minerale era già noto per avere ottime proprietà magnetiche, elettriche, elettro-ottiche, di catalizzazione e superconduzione, e il team di Levy ha ora scoperto che quando si applica un voltaggio positivo con un ago microscopico ai cristalli di perovskite che compongono wafer troppo piccoli per condurre naturalmente una carica elettrica, il voltaggio riarrangia i cristalli in modo da formare una sorta di “cavo elettrico” nanoscopico grande appunto 2 nanometri, attraverso cui la carica elettrica passa senza problemi.
In soldoni la “scoperta”, nata per caso come quasi sempre capita alle rivoluzioni epocali, è stata sfruttata per creare transistor più piccoli di 1.000 volte rispetto a quelli derivati dal silicio . Il bello dei “cavi” cristallini di perovskite è poi il fatto che essi possono essere cancellati e ricreati (“riscritti”) sino a 100 volte. E già gli scienziati aprono scenari di “hardware che incontra il software”, di “logica integrata nella memoria” e componenti in grado di autoprogrammarsi mentre gestiscono un flusso di dati.
Alfonso Maruccia