Non sono disposti a sobbarcarsi il peso di agire da giudioce e boia, non si piegano a sostenere i costi di un regime di disconnessioni coatte dei propri utenti nel nome della tutela del diritto d’autore. L’ostruzionismo di un provider neozelandese che rifiuta di operare a favore dei detentori dei diritti e nel rispetto della legge potrebbe far inceppare il meccanismo della risposta graduale .
La Nuova Zelanda aveva trasformato in legge la propria declinazione della dottrina Sarkozy nell’ottobre scorso. Modellato sullo schema francese, l’emendamento, con la sezione 92A , avrebbe dovuto modificare la legge sul diritto d’autore: “nelle circostanze appropriate”, gli ISP avrebbero dovuto tagliare la connettività agli utenti che avessero violato “ripetutamente il copyright di un’opera usando uno o più servizi Internet dell’ISP al fine di agire senza il consenso di chi è proprietario dei diritti d’autore”. I provider avevano malvolentieri stilato un codice di condotta: si erano impegnati ad agire da messaggeri per l’industria dei contenuti recapitando missive e ingiunzioni, avevano accettato di imporsi di disconnettere gli utenti recidivi.
A pochi giorni dall’implementazione, il disaccordo con l’industria della musica. Le etichette chiedevano più impegno e più inflessibilità, i provider sostenevano che il compromesso pendesse già a proprio sfavore. Le autorità neozelandesi, mentre i cittadini della rete manifestavano il proprio dissenso, avevano deciso di temporeggiare: l’entrata in vigore della sezione 92A era stata sospesa fino al 27 di marzo, data entro la quale le parti dovrebbero trovare un accordo e cominciare ad operare.
I provider si dimostravano ottimisti. Fino al momento in cui TelstraClear, terzo fornitore di connettività neozelandese, ha annunciato che non sottoscriverà alcun codice di condotta : “Non possiamo fare questo ai nostri utenti” ha spiegato Matthew Boland, dirigente dell’ISP. A dissuadere il provider dall’aderire al codice di condotta non sarebbero i costi in termini economici o di responsabilità, ma le reazioni dei netizen: la legge neozelandese si limita a prescrivere le disconnessioni, industria dei contenuti e industria della connettività avrebbero dovuto fare il resto. Nessuna tutela nei confronti dei cittadini della rete, a cui spetterebbe l’onere di provare la propria innocenza .
“Preferiremmo che si giungesse ad una legge che lavori sulle prove e non sulle accuse” reclamano da TelstraClear: si chiedono più tutele per gli utenti, affinché non si vedano tagliati fuori dalla rete sulle sole basi di un indirizzo IP rastrellato dall’industria dei contenuti in una spedizione antipirateria. Il nuovo governo dovrebbe riscrivere la legge e gettare le basi per una strategia di contrasto alla pirateria che sappia offrire delle garanzie a tutti gli attori della rete: “così ci adegueremo alla legge – promette l’ISP – ma non aumenteremo i rischi che gravano sui nostri utenti”.
Telstra è il terzo provider della Nuova Zelanda: l’ostruzionismo dell’ISP potrebbe far arenare un processo di negoziazioni che già si è dimostrato tortuoso. TCF, l’associazione che raccoglie gli ISP locali, ha infatti chiarito che il codice di condotta non potrà entrare in vigore se non ci sarà il consenso unanime di tutti i suoi membri.
Se le autorità neozelandesi dovranno tentare di ricomporre la frattura, mentre in Francia ferve il dibattito parlamentare per sezionare la dottrina Sarkozy e valutarne l’approvazione, la Corea del Sud ha compiuto il primo passo per imporre ai cittadini il rispetto della proprietà intellettuale a suon di avvertimenti e disconnessioni. Proposta dal ministero della Cultura nel luglio scorso, la disposizione ricalca appieno le istanze che si stanno facendo largo in numerosi paesi del mondo . Regno Unito e Giappone , USA e Italia , Corea e Nuova Zelanda: sono paesi che stanno negoziando l’adozione di ACTA , un patto globale anticontraffazione ancora immerso nel mistero. C’è chi ravvisa nella mobilitazione di questi paesi una strategia.
Gaia Bottà