ACTA coinvolge la sicurezza nazionale, il trattato anticontraffazione che si sta negoziando fra i paesi di mezzo mondo non verrà mostrato al pubblico, non in questo momento. Così ha decretato l’amministrazione Obama .
I rappresentanti di Unione Europea, Stati Uniti, Australia, Canada, Giappone, Corea, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore e Svizzera convergono periodicamente in incontri blindati: il patto anticontraffazione striscia negli uffici dei colossi dell’industria dei contenuti, prende consistenza nei Palazzi, si manifesta di quando in quando in estratti trapelati da fonti anonime e rilanciati online. Ma le istituzioni non si mostrano disposte a coinvolgere i cittadini nel dibattito, né a mostrare in maniera trasparente quanto fermenta intorno a ACTA.
Il patto, ancora immerso nel mistero, è al centro dell’interesse di numerose associazioni di cittadini della rete: al di qua e al di là dell’Atlantico sono innumerevoli le organizzazioni che hanno fatto appello alle autorità per conoscerne i dettagli, per fugare dubbi o per mobilitarsi: i frammenti emersi finora sembrano suggerire che ACTA contenga disposizioni che possano irrigidire la tutela della proprietà intellettuale online e alle frontiere con filtri e perquisizioni, strumenti che possano caricare gli intermediari della rete di responsabilità nel combattere i traffici illegali di contenuti. L’ultima di queste richieste era stata inoltrata da Knowledge Ecology International alla fine del mese di gennaio: l’organizzazione si era rivolta all’Office of the United States Trade Representative della Casa Bianca per chiedere chiarimenti e la pubblicazione di una manciata di documenti.
Così come avvenuto nel quadro europeo, in risposta alla richiesta di trasparenza di Foundation for a Free Information Infrastructure ( FFII ), l’amministrazione si è negata, ha negato ai cittadini della rete la possibilità di conoscere ACTA. Se l’Europa aveva rifiutato la trasparenza spiegando che la pubblicazione dei documenti avrebbe potuto influire sul dipanarsi del dibattito fra le parti interessate, le motivazioni addotte dallo US Trade Representative, in linea con il responso fornito in relazione alla richiesta inoltrata da EFF, attengono alla sicurezza nazionale . Si tratterebbe di informazioni classificate, classificate per tutelare i cittadini da minacce non meglio precisate. Nessun altro dettaglio: se c’è chi ha osservato che negli States la decisione di etichettare un documento come segreto implica necessariamente che l’autorità che gli ha attribuito un tale status elenchi le motivazioni e le minacce che una diffusione del documento potrebbe porre nei confronti dei cittadini, KEI sottolinea come il documento sia segreto ai soli occhi del cittadino .
Sono innumerevoli gli anelli della catena dell’industria della proprietà intellettuale che stanno partecipando ai processi di negoziazione e che hanno a disposizione una base su cui edificare il prossimo futuro della tutela della proprietà intellettuale. Ci sono rappresentanti della farmaceutica come Eli Lilly e di attori delle biotecnologie, ci cono rappresentanti di coloro che producono e gestiscono contenuti come RIAA e Time Warner, ci sono colossi della tecnologia come Cisco e IBM. Avanzano proposte e dialogano con le istituzioni e c’è chi paventa che sullo scacchiere internazionale il quadro si vada configurando in proposte di regolamentazione che i governi stanno progressivamente valutando e introiettando. Attribuendo ad esempio agli intermediari della rete la responsabilità di agire concretamente nella tutela della proprietà intellettuale.
Ma se gli States hanno più volte negato ai cittadini la possibilità di sapere di più su ACTA e si sono limitati a contenere le perplessità delle parti non coinvolte, le istituzioni europee potrebbero far seguire i documenti veri e propri alle rassicurazioni già diramate nei mesi scorsi. Il Parlamento Europeo ha approvato un emendamento ad una proposta di regolamento in materia di accesso dei documenti da parte dei cittadini, e potrebbe costringere la Commissione alla trasparenza. Il Canada promette nel contempo di voler rilasciare i documenti relativi ad ACTA quanto prima, o perlomeno di intervenire per dissolvere la percezione dell’alone di segretezza che avvolge le negoziazioni con cui si sta costruendo ACTA.
Gaia Bottà