Prigionieri tra due censure

Prigionieri tra due censure

di Guido Scorza - Facebook rimuove la ripubblicazione provocatoria di un articolo del L'Avvenire perché potrebbe infastidire altri utenti. E poi cancella il profilo del responsabile. Stato e mercato editori della rete?
di Guido Scorza - Facebook rimuove la ripubblicazione provocatoria di un articolo del L'Avvenire perché potrebbe infastidire altri utenti. E poi cancella il profilo del responsabile. Stato e mercato editori della rete?

Nelle ultime settimane si è assistito ad un proliferare di iniziative legislative aventi il fine o, comunque, l’effetto di limitare l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero a mezzo Internet. All’origine di una di queste iniziative il c.d. emendamento D’Alia – vi era quello che è già stato battezzato il “Caso Facebook”: su una delle piattaforme di social network più famose del momento si era notato il moltiplicarsi di gruppi i cui aderenti manifestavano adesione e sostegno alla mafia ed ai suoi boss. In quell’occasione i gestori di Facebook ritennero di non intervenire, determinando così lo Stato all’azione con il celebre emendamento D’Alia con il quale, per mettere a tacere qualche migliaia di ragazzini “tifosi” della mafia, si poneva – e si pone tuttora, visto che non è ancora scongiurato il rischio che la proposta diventi legge – a rischio la libertà di manifestazione del pensiero in Rete.

“Giù le mani dalla Rete!”, gridammo in molti guardando il Palazzo e rivendicando il diritto di usare le nuove tecnologie per manifestare, finalmente, le nostre idee ed opinioni senza vincoli né censure benché, ovviamente, nel rispetto della Legge e dei diritti altrui. Oggi, a poche settimane da quei giorni, c’è un nuovo Caso Facebook del quale occorre occuparsi: questa volta il popolare social network ha deciso di staccare la spina alla “Rana”, pseudonimo della redazione di Rassegna Stanca , un gruppo che, al fine di stimolare discussione e critica su articoli apparsi sulla stampa nazionale, li ripubblica fedelmente salvo talune piccole “provocazioni”.

All’origine dell’episodio, la ripubblicazione di un editoriale apparso sull’Avvenire a proposito della posizione della Chiesa sull’uso del preservativo: i redattori della Rana ribattezzano il corsivo come “Un editoriale ultrasottile”. Qualcuno evidentemente protesta e Facebook rimuove il contenuto con una laconica motivazione: “questo comportamento può infastidire altri utenti”. Quando, poi, Rassegna Stanca prova a ripubblicarlo, ricorre ad una contromisura più radicale: la rimozione del profilo. Dalla padella alla brace, vien da dire, con una battuta.

Utenti e cittadini, nel giro di poche settimane si ritrovano minacciati tra due censure: quella di Stato e quella privata di un intermediario atipico come Facebook che – condizioni di uso alla mano – si arroga il diritto di decidere di cosa si può parlare, scrivere e dibattere e di cosa, invece, è sconveniente. È una situazione preoccupante perché in gioco vi è l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero in questo Paese e altrove.
Nelle condizioni d’uso così come nel codice di comportamento i gestori di Facebook si riservano senza tanti panegirici il diritto di decidere, con assoluta discrezionalità, cosa sia pubblicabile e cosa no e, soprattutto quello di “cancellare” un profilo ed i suoi contenuti “con o senza motivazione”.

Milioni di persone al mondo hanno accettato quelle condizioni un po’ senza rendersene conto ed un po’ perché Facebook è ormai divenuto un fenomeno caratterizzante di una nuova e diffusa dimensione della socialità rispetto alla quale, in molti contesti, è più facile aderire che rimanere estranei.
Non c’è dubbio, d’altro canto, che ad indurre gli utenti ad aderire a condizioni negoziali che avrebbero, certamente, destato allarme e preoccupazione se relative all’acquisto di un aspirapolvere online, vi è il diffuso e radicato convincimento secondo il quale, in fondo, Facebook pone a disposizione un servizio gratuito.

Non è così. L’adesione a Facebook ha un costo probabilmente più elevato di quello di molti servizi a pagamento forniti via web. La semplice lettura delle condizioni generali d’uso della piattaforma, infatti, chiarisce che l’utente, all’atto della registrazione, riconosce a Facebook “automaticamente l’autorizzazione e la garanzia di disporre del diritto a fornire alla Società l’autorizzazione irrevocabile, perpetua, non esclusiva, trasferibile, totalmente acquistata e valida in tutto il mondo (con il diritto di concedere sotto-licenze) ad utilizzare, copiare, eseguire ed esporre in pubblico, riformattare, tradurre, estrarre (integralmente o parzialmente) e distribuire tali Contenuti dell’utente per qualsiasi scopo commerciale, pubblicitario o di altra natura, sul sito o su canali collegati al sito o alla presente promozione, nonché a incorporare in altre opere, ad esempio i Contenuti dell’utente, e a concedere ed autorizzare sotto-licenze di tali contenuti” (ndr: il pessimo italiano non è mio ma dei traduttori usati da Facebook, fatto che potrebbe apparire indice anche questo di scarso rispetto verso i propri utenti).

Come se ciò non bastasse, Facebook, all’atto dell’iscrizione, esige dagli utenti un ampio consenso al trattamento dei propri dati personali anche per finalità di marketing. Cosa c’è di gratis? È un servizio che costa tanta proprietà intellettuale ed una rinuncia, in misura importante, alla propria privacy: forse non si paga in euro ma si usa, comunque, una moneta altrettanto preziosa. Difficile, in tale contesto, accettare che qualcun altro decida per me cosa posso o non posso dire o di quali argomenti è lecito che io discuta con i miei amici.

La libertà di manifestazione del pensiero è uno dei diritti fondamentali dell’uomo e va difesa contro le ingerenze pubbliche così come quelle private, anzi, più contro le seconde che contro le prime in relazione alle quali dovrebbe sussistere una presunzione – peraltro non insuperabile – che siano dettate dal perseguimento di obiettivi di interesse comune. Gli utenti, allo stato, sembrano prigionieri di due censure: quella di Stato o quella di chi sembra intenzionato a candidarsi a nuovo padrone dell’informazione. Ho ripubblicato sul mio blog l’editoriale de L’Avvenire con il titolo provocatorio scelto dai ragazzi di Rassegna stanca: fatelo anche voi, se ne avete voglia. Dimostreremo così che sappiamo difenderci da chiunque voglia metterci a tacere senza violare alcuna norma ma, al contrario, esercitando quei diritti e quelle libertà fondamentali dei quali, troppo a lungo, ci hanno privati. È una Rete diversa quella di cui vorremmo disporre ma è una Rete che occorre difendere e contribuire a costruire.

Guido Scorza
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il 24 mar 2009
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