Imeem, quanto devi alle major?

Imeem, quanto devi alle major?

Il modello di musica in streaming sembra alle corde. Le cifre si rincorrono ma una cosa appare certa: l'economia digitale non è più quella di un paio d'anni fa, gli accordi devono essere rivisti
Il modello di musica in streaming sembra alle corde. Le cifre si rincorrono ma una cosa appare certa: l'economia digitale non è più quella di un paio d'anni fa, gli accordi devono essere rivisti

Spiralfrog non ce l’ha fatta, Last.fm diventa a pagamento praticamente ovunque e ora anche Imeem sembra navigare in acque un tantino agitate: c’è chi dice che debba almeno 30 milioni di dollari alle Quattro Sorelle della canzone in diritti d’autore non riscossi. L’azienda fa sapere che la cifra non ancora saldata è di gran lunga inferiore, in ogni caso gli osservatori sono tutti concordi: il modello di business della musica sostenuta dalla pubblicità non è sostenibile così com’è, e urge una sua revisione a tutti i livelli.

Prima di tutto, occorrerà rivedere gli accordi che legano le startup che propongono la musica a coloro che della musica controllano la distribuzione: non esistono cifre ufficiali, ma ufficiosamente sembrerebbe che il migliore accordo in questo senso l’avrebbe strappato MySpace con appena 0,0004 dollari per ogni brano ascoltato in streaming dagli utenti della sua piattaforma. Tutti gli altri dovrebbero accontentarsi di un più costoso millesimo di dollaro per ogni brano: abbastanza, sostengono gli addetti ai lavori, per mandare a gambe all’aria ogni business.

Facendo una stima sulle visite e sulle statistiche dichiarate da MySpace, il totale di brani ascoltati in una settimana condurrebbe ad un corrispettivo di non meno di 2 milioni di dollari da versare ogni sette giorni : troppi, probabilmente, per garantire un adeguato margine operativo con cui tenere in piedi un business, soprattutto se a questa cifra si sommano i costi derivanti dalla banda necessaria ai trasferimenti, lo sviluppo della tecnologia, la manutenzione, il personale e così via.

Per una tariffa da 0,4 centesimi di dollaro, infatti, secondo gli esperti occorrerebbe vendere pubblicità a 4 dollari per mille impression ( CPM ): un valore più volte ipotizzato, ad esempio, per Imeem ma che poco si abbina ai tempi di crisi che vive oggi il mercato dell’advertising. Se poi la startup musicale, tra le prime a sottoscrivere un contratto con le major, fosse tra quelle che paga 1 centesimo a brano, il costo della pubblicità dovrebbe salire a 10 dollari CPM: il tutto in via teorica, visto che i calcoli prevedono di piazzare il 100 per cento del proprio inventario pubblicitario, situazione piuttosto improbabile nella vita reale.

L’unica alternativa per non rischiare di venire soffocati dalle spese è la speranza che il commercio di suonerie per cellulari, biglietti per concerti musicali e il download dei brani possa colmare il gap che la sola pubblicità da sola non è in grado di riempire: ma con la banda larga ormai onnipresente anche nelle connessioni mobili, lo streaming è sempre di meno un volano per l’acquisto in download, e da sole le altre due opzioni potrebbero non bastare.

La probabilità che molto presto Imeem possa chiedere la rinegoziazione dei termini dei suoi accordi con le Quattro Sorelle, e alla startup seguiranno senz’altro molti altri, si fa sempre più concreta. La presenza di Warner nel pacchetto azionario dell’azienda statunitense rende più probabile la stipula di un nuovo accordo, ma una cosa appare senz’altro chiara: il modello della free economy in rete sembra essere stato (almeno per il momento) accantonato vista la situazione del mercato, e per molte startup è giunto il tempo di fare i conti con la realtà e dare un taglio meno ambizioso al proprio business plan.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
31 mar 2009
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