Secondo un rapporto complilato dall’organizzazione ambientalista Basel Action Network (BAN) l’ondata di rifiuti hi-tech avrebbe raggiunto anche l’Africa. Computer, cellulari, scanner e stampanti, gli scarti tecnologici dei paesi ricchi prendono la via di quelli in via di sviluppo come parziale rimedio al loro enorme divario digitale. Una volta sul posto, però, invece di finire tra le mani di chi ne ha bisogno vengono ammassati in enormi discariche inquinanti.
Se fino ad ora le mete preferite dai trafficanti di immondizia cybernetica erano situate in Asia , con un occhio particolare per le province più povere della Cina, adesso le rotte sembrano convergere verso il continente africano, ricalcando in parte quelle del tristemente noto commercio triangolare .
Infatti l’ultima denuncia del gruppo ambientalista riguarda una raccolta di materiale elettronico in disuso effettuata nei dintorni di Pittsburgh, negli Stati Uniti. EarthECycle, la società incaricata dello smalitmento, avrebbe invece riempito sette container spedendoli poi a Hong Kong e in Sud Africa .
Sul rapporto si legge che quelli diretti verso l’ex protettorato britannico sarebbero stati intercettati e rispediti al mittente, mentre il carico diretto in Sud Africa dovrebbe essere arrivato nel porto di Durban.
Generalmente gli USA non vietano questo tipo di esportazioni , ma uno dei container fotografati segnalati da BAN conteneva esclusivamente vechi monitor CRT, per i quali non è consentito l’espatrio senza il consenso della nazione cui sono destinati.
Nonostante gli stessi produttori di hardware incoraggino il riciclaggio pulito secondo la Environmental Protection Agency statunitense nel 2008 solo il 20 per cento degli scarti elettronici è stato riciclato all’interno del territorio USA. La stragrande maggioranza di ciò che è rimasto è stata inviata oltreoceano.
Le autorità portuali di Lagos, uno dei più importanti centri urbani della Nigeria e meta di molte discariche galleggianti, lamentano l’arrivo ogni mese di una grande quantità di inutile ferraglia: solo il 25 per cento dei prodotti scaricati da 500 container è considerato riutilizzabile .
In molti di questi paesi la conseguenza di questi traffici è che ingenti quantità di e-waste vengono prima radunate in discariche dal vago sapore cyber-punk, e poi bruciate: il tutto senza la minima considerazione del pericolo ambientale costituito dalle nubi tossiche sprigionate da questi roghi.
Giorgio Pontico