Uno “strumento educativo”, come un corso di aggiornamento, certo non una relazione pericolosa : chiunque la pensi diversamente è in malafede. In una parola, il giudice Tomas Norström è innocente : l’inchiesta interna del tribunale di Stoccolma, che avrebbe dovuto chiarire se la sua posizione in seno al processo a The Pirate Bay sia stata o meno macchiata da un conflitto di interesse tra pubblico e privato, ha dato esito negativo . Il processo che ha condannato i quattro “fondatori” è valido e può affrontare tranquillamente i successivi gradi di giudizio.
La Corte d’appello di Svea non lascia adito a dubbi: “L’appartenenza (di Norström alle organizzazioni che si occupano di copyright, ndr) deve essere intesa come strumento per incrementare la conoscenza della problematica sulla legislazione del diritto d’autore e non invece come motivo per stabilire una incompatibilità”. Al contrario, prosegue il dispositivo che ha archiviato la faccenda , “è fondamentale che i giudici restino al passo dei tempi su queste faccende”.
Bene avrebbe fatto quindi il discusso magistrato a partecipare a riunioni e seminari sul tema copyright: il suo costante aggiornamento sulla questione lo ha reso nell’occasione il candidato ideale per giudicare con cognizione di causa l’operato dei bucanieri e della Baia. Il solo fatto che sia legato in qualche modo alla Swedish Copyright Association e alla Swedish Association for the Protection of Industrial Property , organizzazioni che si battono sul lato opposto della barricata rispetto a TPB, non è un motivo per ritenere che il suo giudizio non sia stato imparziale.
Ma non era soltanto di incompatibilità ideologica che Norström era accusato: gli avvocati dei quattro condannati, in primo luogo quello di Peter Sunde alias brokep , avevano anche puntato il dito contro la procedura di assegnazione del giudice al caso . Non casuale sarebbe stata, secondo quanto prescrive la norma svedese, ma una vera e propria designazione a tavolino: anche questa accusa è stata rispedita al mittente, se possibile ancora più nettamente della precedente.
“Rigettiamo fortemente questa obiezione” hanno scritto i giudici, spiegando che “La selezione si è svolta in aderenza alle regole di procedura della Corte Distrettuale”: c’è stata in effetti una piccola deroga alla modalità canonica, legata però ad una riorganizzazione interna che ha portato ad una riassegnazione del caso. Ma nel complesso, secondo la Corte d’appello, l’intero iter si è svolto in modo trasparente, aperto e oggettivo : nessuna via traversa è stata percorsa, nessuna scorciatoia è stata battuta.
Ai quattro bucanieri, Peter Sunde, Fredrik Neij Gottfrid Svartholm Warg e Carl Lundström, non resta ora che ricorrere in appello nel secondo grado di giudizio: l’obiettivo di questa prima istanza era chiedere l’annullamento della prima sentenza e la ripetizione dell’intero procedimento. Dunque spazio all’appello, già presentato dagli avvocati dell’accusa per altro: troppo pochi, secondo loro, i quasi 3 milioni di euro a testa che i quattro devono risarcire . Sunde ha già fatto sapere che non intende pagare un centesimo, ma starà alla Corte – la nuova Corte – stabilire chi abbia ragione questa volta.
La questione è ancora più che rovente. Grazie alla pubblicità ricevuta (o raccolta direttamente e indirettamente) nel corso del processo, il Partito Pirata svedese è riuscito a raggiungere un seggio a Strasburgo, garantendosi una percentuale significativa di voti in terra scandinava. C’è anche chi ha voglia di scherzare: Henrik Pontén, avvocato dell’organizzazione antipirateria Antipiratbyrån, si è visto recapitare a casa un avviso che confermava il suo cambio di generalità anagrafiche: ora per l’ufficio delle entrate svedesi è Pirate Pontén . Evidentemente qualcuno ha deciso che la cosa doveva suonare divertente.
Luca Annunziata