C’è una tabella sul web che illustra, in otto semplici passi, l’intero processo di crowdsourcing. Sul primo, l’azienda ha un problema e, sull’ultimo, ottiene i suoi profitti. Nel mezzo del cammino, le folle online propongono soluzioni, premiate ed acquisite dai manager. Una sorta di chiamata pubblica o un atto volontario in classico stile Wikipedia. Jeff Howe, inventore del neologismo crowdsourcing, parla , tuttavia, di una “tempesta di fuoco” scatenata da LinkedIn dopo aver chiesto a diversi traduttori della sua community di lavorare gratis. Proprio come i volontari del crowdsourcing.
La rivelazione è arrivata dalle labbra elettroniche di Matthew Bennett, traduttore e blogger dalla Murcia spagnola. In un post di alcuni giorni fa si legge: “LinkedIn è riuscito ad irritare diversi suoi utenti, traduttori professionisti, chiedendo loro di tradurre parti del sito in lingue straniere in cambio di un badge LinkedIn o perché è divertente “. Quest’ultimo incentivo non ha reso così sorridenti i circa 12mila professionisti interpellati attraverso un sondaggio online nelle prime settimane di giugno.
Il network dedicato alle carriere può contare, oggi, su 42 milioni di utenti, metà dei quali vivono al di fuori degli Stati Uniti. Come il cittadino britannico Chris Irwin che, in un articolo apparso ieri sul New York Times , ha raccontato la sua piccola esperienza con il sondaggio inviato da LinkedIn. Irwin, sfacciatamente, ha scelto la sesta opzione (“Altro”), specificando di preferire come incentivo i soldi: “Sono sorpreso del fatto che LinkedIn abbia la sfrontatezza di richiedere una prestazione professionale gratuita”.
Sfrontatezza osteggiata anche da Bennett che, sullo stesso social network, ha messo in piedi un gruppo di protesta giunto a quota 300 iscritti. E LinkedIn? Il product manager Nico Posner è responsabile delle versioni del sito in giro per il mondo e, dal blog ufficiale , fa sapere che “attualmente stiamo indagando sulla maniera migliore di tradurre il nostro sito in diverse lingue. Dal momento che si tratta di una decisione che avrà impatto su milioni di utenti, volevamo conoscere il parere di alcuni nostri membri a proposito delle strade più efficaci per realizzare questa cosa”.
Sono stati coinvolti membri specializzati in traduzione il cui parere è stato sondato attraverso una domanda di questo genere: “Che tipo di incentivo ti aspetti per tradurre il sito LinkedIn?”. Solo il 18% ha selezionato la voce “Lo farei perché è divertente”. Bennett, intanto, lancia il sasso, ponendo domande acuminate sulla necessità di comprendere i benefici derivanti da un lavoro del genere, distinguendo un professionista da una persona che a malapena parla due lingue.
Posner ha rilanciato, direttamente dal gruppo organizzato da Bennett: “Ho capito che molti traduttori professionisti non sono interessati a partecipare ad un’opportunità di crowdsourcing su LinkedIn. Altri, tuttavia, darebbero il loro benvenuto al progetto, avendo la possibilità di evidenziare il loro lavoro sulla propria pagina e non solo per la gloria, ma anche per la speranza di trovare un lavoro pagato”.
E anche, forse, perché è divertente.
Mauro Vecchio