Videoregistratore virtuale, negli USA si può

Videoregistratore virtuale, negli USA si può

In quella che da più parti viene letta come una sentenza storica, la massima autorità giudiziaria statunitense ha stabilito una volta per tutte la legalità delle tecnologie di DVR personale via cavo. Le major non plaudono alla decisione
In quella che da più parti viene letta come una sentenza storica, la massima autorità giudiziaria statunitense ha stabilito una volta per tutte la legalità delle tecnologie di DVR personale via cavo. Le major non plaudono alla decisione

Le registrazioni DVR (Digital Video Recording) gestite in remoto, con il set-top box dell’utente a fare solo da client “stupido” per la ricezioni dei flussi in streaming senza sottosistemi di storage a corredo, sono una tecnologia perfettamente legittima che può quindi approdare sul mercato . Lo ha deciso la Corte Suprema degli Stati Uniti, ponendo fine alla querelle tra la società che ha sviluppato il sistema e gli studios al gran completo e aprendo le porte a un mercato fatto potenzialmente di grandi numeri.

Con l’autorevole opinione della Corte Suprema si conclude dunque il caso Cable News Network v. CSC Holdings , che ha viste contrapposte la società di New York Cablevision e la Copyright Alliance , la più grossa lobby dell’industria dei contenuti (46 membri inclusi gli studios hollywoodiani, i network televisivi, RIAA, MPAA, Microsoft e chi più ne ha più ne metta) sulla presunta illegalità del DVR remoto realizzato dalla suddetta società newyorkese: che trasforma qualsiasi set-top box presente nelle case americane in un DVR personale alla stregua della piattaforma TiVo , con la differenza che nel primo caso le registrazioni vengono immagazzinate e gestite sui server di Cablevision e non in locale.

La lobby, o per meglio dire l’Allenanza del Copyright, aveva provato a sostenere che stante la registrazione remota, il servizio di Cablevision andava configurandosi più come una trasmissione on demand che un DVR e doveva quindi essere regolata con i contratti di licenza che i network e le major applicano in tali frangenti. La Corte Distrettuale aveva inizialmente dato ragione all’industria, ma in appello la sentenza era stata ribaltata stabilendo la legittimità della copia “privata” qualunque fosse il medium usato per contenerla, fosse un hard disk di un videoregistratore di nuova generazione in soggiorno o un server raggiungibile via cavo.

Nel novembre del 2008 si era così arrivati alla fase conclusiva della vicenda , con l’ amicus brief della Copyright Alliance presentato alla Corte Suprema a sostegno delle ragioni dell’industria. Ragioni che la corte ha ora stabilito di non ascoltare, non ravvisando la necessità di mettere in discussione la decisione della Corte d’Appello sulla legittimità del sistema di Cablevision.

Le parti in causa hanno ovviamente reagito alla decisione della Corte Suprema in maniera opposta l’una dall’altra: per la Copyright Allinace si tratta di una posizione “sventurata e potenzialmente dannosa per i creatori e le imprese creative attraverso tutto lo spettro delle industrie del copyright”, mentre il CEO di Cablevision Tom Rutledge la esalta come “una vittoria straordinaria” per gli operatori via cavo presenti e futuri. Rutledge si dice nel contempo consapevole delle potenziali implicazioni che la cosa avrà per lo “skipping” dell’advertising da parte degli utenti , e assicura che la sua società farà quanto necessario per non mandare gambe all’aria il business del broadcasting via cavo e della pubblicità veicolata attraverso di esso.

Cablevision, che attualmente gestisce un utenza di 3 milioni di sottoscrittori nell’area di New York, ha già attivato una campagna di “targeted advertising” in 500mila appartamenti e si propone di raddoppiare tali numeri per la fine dell’anno. Con la sentenza della Corte Suprema a vincere sono in prima istanza gli operatori via cavo, perché non avere l’obbligo di fornire una macchina DVR completa agli utenti permetterà di tagliare i costi e le spese di manutenzione (stimate nel 10-15 per cento dei costi totali delle maggiori aziende di settore).

Certo occorrerà valutare l’impatto delle trasmissioni da remoto sulla banda totale disponibile sulle connessioni cablate, il destino dei sistemi di DVR personali dotati di hard disk interno e soprattutto i vantaggi effettivi per i consumatori fuor di teoria (spazio di registrazione disponibile su server, accessibilità dei contenuti, pubblicità obbligatoria e quant’altro). “Sicuramente si tratta di un episodio importante nella storia della televisione digitale”, sostiene l’analista di Standard & Poor Tuna Amobi, ma dagli effetti ancora tutti da quantificare perché la diffusione capillare dei DVR remoti necessiterà di “qualche anno per materializzarsi. Al momento l’obiettivo principale è provare a velocizzare il tutto e portare questa tecnologia oltre la fase di test”.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 1 lug 2009
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