Se le tattiche SEO condannano il motore

Se le tattiche SEO condannano il motore

Cercare in rete informazioni su una divetta argentina restituiva scabrosi grovigli di corpi. La soubrette ha denunciato i motori di ricerca, il giudice ha costretto i search engine ad agire da editori
Cercare in rete informazioni su una divetta argentina restituiva scabrosi grovigli di corpi. La soubrette ha denunciato i motori di ricerca, il giudice ha costretto i search engine ad agire da editori

Una chiave di ricerca civetta che spianava la strada a vagonate di pornografia e di contenuti tentatori: i cittadini della rete che si rivolgessero alle localizzazioni argentine di Google e Yahoo alla ricerca di informazioni riguardo ad una divetta locale si ritrovavano inondati di link a siti che ospitavano immagini pruriginose. La responsabilità? Di Google e Yahoo, lo ha stabilito un giudice argentino.

La cantante, modella e attrice argentina Virginia Da Cunha non si è dimostrata disposta a tollerare certe furbesche pratiche di search engine optimization . Affidarsi a un motore di ricerca per reperire innocenti informazioni sulla donna indirizzava i cittadini della rete verso siti di contenuto pornografico: cavalcavano la popolarità della cantante per posizionarsi fra i risultati di ricerca, per catturare l’attenzione di potenziali visitatori. Virginia Da Cunha ha ritenuto che l’immagine della sua persona restituita dalle pagine dei risultati fosse lesiva della sua reputazione e per questo motivo ha sporto denuncia.

La starlet non si è scagliata contro i siti che abusavano del suo nome e della sua notorietà: si è rivolta ai motori di ricerca per chiedere di desistere dall’associare al proprio nome URL ritenute troppo scabrose, ha chiesto a Google e Yahoo di assumersi la responsabilità di tutelare la sua reputazione di fronte ai cittadini della rete.

Virginia Da Cunha si è accodata alle iniziative condotte in Argentina da altri personaggi celebri, indisposti dal puzzle che i motori di ricerca componevano con i contenuti riversati in rete dagli utenti. Diego Armando Maradona ad esempio ha scelto di scomparire dalla rete chiedendo e ottenendo di essere rimosso da tutti i risultati offerti dai motori di ricerca nelle versioni localizzate. Anche nel caso di Maradona l’ingiunzione è scaturita dall’accostamento a immagini pornografiche, per poi estendersi ad imporre l’oblio su tutto quanto investisse il pibe de oro e 33 membri della sua famiglia.

Ma la collaborazione dei gatekeeper della rete non sembra dimostrarsi sufficiente a placare la divetta: così come ha agito Maradona in tempi recenti, la modella si era rivolta al tribunale per ottenere una compensazione del danno inflitto alla propria immagine dai motori di ricerca. Una compensazione accordata ora dal tribunale argentino incaricato di valutare il caso: Google e Yahoo sono stati condannati a risarcire Virginia Da Cunha ciascuno con 50mila pesos, poco più 9mila euro. Non è tutto: il giudice ha stabilito che dovranno “terminare in maniera definitiva l’uso illegale e non autorizzati delle sue immagini e del suo nome e procedere all’eliminazione delle sue immagini e del suo nome dai siti a contenuto sessuale, erotico e pornografico e/o eliminare i collegamenti tra suo nome alle sue immagini e fotografie e questi siti o attività”.

Poco importa che quello che i legali di Virginia Da Cunha ritengano essere scelte dei motori di ricerca siano semplicemente algoritmi, poco importa che ad aver determinato l’accostamento tra la soubrette e le nudità esibite sia stata la meccanicità con cui i motori di ricerca si lasciano irretire dalle più bieche strategie SEO: la responsabilità è dei motori di ricerca, ha decretato il giudice, e per questo i serach engine saranno costretti a rimediare.

Google non intende però rassegnarsi: “in altre occasioni – ha spiegato l’avvocato di BigG – si è stabilito che i motori di ricerca fossero semplici intermediari e che non fossero obbligati ad evitare i link verso quei siti che contengano delle informazioni che qualcuno potrebbe considerare offensive”. Si tratta di informazioni e contenuti prodotti da terzi, a cui il motore di ricerca ha il semplice compito di agevolare l’accesso: questo è quanto i legali dei search engine tentano di dimostrare di fronte a tribunali di mezzo mondo. Google Argentina lo farà ricorrendo in appello.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
5 ago 2009
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