Il futuro della conoscenza e della cultura

Il futuro della conoscenza e della cultura

di Guido Scorza - Dall'equo compenso a The Pirate Bay, dal DDL SIAE e poi Barbareschi alla dottrina Sarkozy, passando per il Comitato Antipirateria. Uno sguardo a ciò che è stato, auspici per quel che sarà
di Guido Scorza - Dall'equo compenso a The Pirate Bay, dal DDL SIAE e poi Barbareschi alla dottrina Sarkozy, passando per il Comitato Antipirateria. Uno sguardo a ciò che è stato, auspici per quel che sarà

Agosto è tempo di bilanci e propositi, di riflessioni, preoccupazioni e promesse, offline così come online e, quest’anno, il rapporto tra proprietà intellettuale e nuove tecnologie non può non formarne oggetto. Mai come nell’anno che stiamo per lasciarci alle spalle, infatti, il dibattito su questo tema è stato tanto vivace e ha fatto registrare posizioni tanto distanti da far apparire impossibile qualsiasi mediazione.

È stato l’anno della crociata contro la Baia dei Pirati – sequestrata in Italia, dissequestrata, condannata in Svezia e poi ancora sequestrata in olanda, quasi venduta e, quindi, citata per danni dall’industria musicale italiana – quello in cui la Francia con l’ostinata approvazione della Hadopi si è candidata – in Europa e contro l’Europa – a paladina indiscussa di un approccio al diritto d’autore che potrebbe definirsi “egocentrico” in ragione di una malcelata tendenza a travolgere ogni altro diritto fondamentale dei cittadini e degli utenti.
Ma non solo.

È stato anche l’anno in cui gli editori della carta stampata – libri e giornali – hanno lanciato più forte di quanto sin qui avvenuto il proprio grido di allarme in relazione ad un’industria posta in crisi – così sostengono – anche e soprattutto “per colpa” di Internet.
Si sono quindi imbracciate le armi – come mai prima d’ora – contro la pirateria online (pare che il mastodontico volume di Henry Potter sia oggetto di milioni di download via P2P), e contro servizi quali Google Book Search o, piuttosto, Google News, accusati di “cannibalismo degli altrui diritti” ma, soprattutto, per la prima volta, si è ipotizzato, con tanta insistenza ed a così alto livello da escludere che possa trattarsi solo di una boutade, di ripensare radicalmente il modello di business che ha sin qui voluto l’informazione online essenzialmente gratuita per l’utente e pagata – pare troppo poco – dalla pubblicità, dipingendo uno scenario nel quale occorrerà “micro pagare” l’accesso ad ogni notizia.

È stato, però, anche l’anno dell’ estinzione dell’IMAIE , trovato con oltre 100 milioni di euro raccolti a titolo di equo compenso nel suo pancione ed incapace di redistribuirli agli aventi diritto che pare conoscesse in una percentuale irrisoria, e quello della conclusione di 3 anni di indagini contro la SABAM – cugina belga della SIAE – cui la magistratura ha contestato l’assenza di criteri equi e trasparenti per la redistribuzione di quanto incassato a titolo di diritti d’autore e, soprattutto, di non disporre di idonee procedure di controllo interno.

In Italia, per restare in tema, un’inchiesta di Altroconsumo ha richiamato l’attenzione sul costo dell’attività svolta dalla SIAE e sulla circostanza – candidamente riconosciuta dal Presidente dell’ente – secondo la quale oltre il 60 per cento degli iscritti SIAE, alla fine dell’anno, riceve un importo inferiore a quello speso per l’iscrizione.

Ma, probabilmente, nel nostro Paese, quello che sta per concludersi verr? ricordato come l’anno del Comitato tecnico per la lotta alla pirateria multimediale nato per elaborare una soluzione idonea a far fronte ad un danno stimato in 5 miliardi di euro l’anno – cifra reiteratamente ricordata ma mai provata – ma rimasto – vien da dire per fortuna – sostanzialmente inattivo visto che l’originaria promessa di concludere tassativamente i suoi lavori entro tre mesi dall’insediamento è rimasta tradita.
Impossibile, d’altro canto, in questa breve rassegna dimenticare il DDL fu SIAE poi Barbareschi o, piuttosto quello Carlucci dell’antipirateria mascherata da antipedofilia.

Si tratta di fronti tutti rimasti aperti e con i quali ci si troverà, pertanto, a confrontarsi – probabilmente con rinnovata e ritrovata urgenza – dopo la pausa estiva in compagnia di ulteriori questioni: c’è la nuova disciplina sull’ equo compenso che vale milioni di euro l’anno – questi si veri e provati – tutta da scrivere, c’è la causa Mediaset c. YouTube da decidere e c’è, naturalmente, un “misterioso prodotto creativo” che prima o poi dovrà esser pubblicato dal Comitato Masi per la lotta alla pirateria.

In gioco – anche se spesso si commette l’errore di pensare che si tratti solo di questioni economiche e di trovare una via di mezzo tra l’avidità atavica dell’industria e la naturale propensione al “”gratis è bello” degli utenti – c’è molto di più perché ogni scelta rischia di influenzare in modo determinate il futuro della conoscenza e della cultura.
Ad ogni bivio, andando a destra piuttosto che a sinistra (o viceversa, per evitare letture politicamente orientate!) non si rischia solo di pagare o di non esser pagati per l’accesso ottenuto o concesso a un oggetto digitale quanto, piuttosto, di attivare o disattivare processi creativi, di promuovere o arrestare il progresso tecnologico e culturale, di sconfiggere il cultural divide che affligge il Paese o, piuttosto, di aggravarlo e, ancora, di consolidare monopoli nell’intermediazione e nell’industria creativa o, piuttosto, di innescare virtuose dinamiche pro concorrenziali e di “ricambio generazionale” abilitando anche le realtà emergenti a raccogliere le opportunità offerte dalla sfida digitale. Opportunità che, non vi è dubbio, l’industria tradizionale – con poche rare eccezioni quali l’industria del software e, più di recente e in modo ancora insoddisfacente quella musicale – sin qui, si è mostrata incapace o non interessata ad intercettare e far proprie. È impossibile dire come andrà a finire ed è difficile, persino, suggerire come dovrebbe andare a finire quella che è, certamente, la più grande sfida di questo secolo perché non c’è dubbio che nella società dell’informazione la disciplina della proprietà intellettuale è e sarà causa e principale responsabile di quello che saremo e di quello che saranno ed avranno le generazioni che verranno. Credo, tuttavia, sia possibile – benché ciascuno dal proprio angolo di visuale – individuare alcuni punti fermi e formulare alcuni auspici.

Ecco i miei.
1) A prescindere da ogni questione di merito credo ve ne sia una di metodo che viene prima delle altre: occorre ristabilire nelle dinamiche della circolazione dei prodotti informativi e culturali la certezza del diritto. Le vecchie regole sulla proprietà intellettuale non sono più in grado di garantire il raggiungimento degli scopi per i quali sono state concepite ed elaborate: promuovere lo sviluppo culturale attraverso un’adeguata remunerazione dello sforzo creativo e massimizzare le possibilità di accesso al patrimonio culturale da parte della collettività.
I titolari dei diritti, l’industria della distribuzione, dell’informazione e dell’intrattenimento così come gli utenti ed i consumatori hanno l’improcrastinabile esigenza di sapere cosa sia lecito e cosa non lo sia e compiere così le proprie scelte creative, imprenditoriali e di consumo in modo consapevole.

Allo stato, per contro, ci sono troppe aree di grigio, condotte ora ritenute lecite ed ora illecite, modelli che qualcuno definisce parassitari ed altri virtuosi. Le piattaforme di aggregazione di informazioni, gli user generated content, i servizi di indicizzazione di file torrent o, piuttosto, i motori di ricerca, i servizi di hosting sono solo alcune delle realtà in relazione alle quali si succedono decisioni e provvedimenti di segno contrastante.
Occorrono regole certe ed auspicabilmente sovrannazionali come sovrannazionale è il contesto al quale devono essere applicate.

2) Ancora una volta a prescindere dal merito delle singole scelte che occorrerà assumere per ripristinare l’auspicata certezza del diritto nella materia, è imprescindibile che stakeholder e decisori non commettano l’errore di lasciarsi guidare – né in via esclusiva né in via prevalente – da valutazioni di ordine economico. Porre “fuori legge” una tecnologia perché, in ipotesi, largamente utilizzata per realizzare condotte di pirateria audiovisiva, imputare forme di responsabilità oggettiva o quasi oggettiva in capo a taluni soggetti coinvolti nelle dinamiche della circolazione dei contenuti online o, piuttosto, varare una disciplina sull’equo compenso che renda talune tecnologie più esose di altre sulla base di una semplice presunzione sono tutte scelte che producono effetti che vanno ben al di là della dimensione economica e che appaiono suscettibili di influenzare in modo pressoché immediato lo sviluppo della creatività, l’accesso all’informazione e la concreta possibilità di esercizio di tutte le libertà che ne derivano nonché il progresso tecnologico.

Allo stesso modo e per le stesse ragioni, nell’assumere ognuna di tali scelte bisogna sottrarsi al rischio di valutazioni “egocentriche” che tengano conto della sola disciplina sulla proprietà intellettuale e, piuttosto, guardare con attenzione – come raramente è sin qui accaduto – ai numerosi momenti di intersezione dei diritti di proprietà intellettuale con altri diritti e libertà fondamentali dell’uomo e del cittadino quali quello all’informazione – nella sua duplice accezione attiva e passiva – quello alla privacy o piuttosto quelli all’educazione ed all’accesso al patrimonio culturale.

3) Quanto al merito delle diverse scelte che andranno assunte nei prossimi mesi, mi sembra, innanzitutto, importante che non si commetta l’errore di tentare di recuperare attraverso l’emananda disciplina sull’equo compenso il preteso danno da pirateria e, più in generale, le perdite, vere o presunte, che l’industria dell’audiovisivo sta accusando. L’equo compenso, infatti, rappresenta e deve restare uno strumento di indennizzo eccezionale per il solo mancato utile da copia privata.

Nel porre mano alla nuova disciplina, pertanto, sarà indispensabile prevedere un’ampia gamma di ipotesi nelle quali l’acquisto di un supporto idoneo alla registrazione non dovrà dar luogo ad alcun obbligo di pagamento dell’equo compenso. Gli utenti vanno, infatti, lasciati liberi di decidere se utilizzare o meno un supporto per l’effettuazione di copie private e, in caso negativo, devono essere posti in condizione di non versare l’equo compenso salvo, eventualmente, essere sanzionati – anche severamente – laddove tradendo l’originaria dichiarazione di acquisto per finalità diversa dalla copia privata, utilizzino il dispositivo di memorizzazione per ospitarvi copie private di opere dell’ingegno. La generalizzazione del sistema di esazione dell’equo compenso, infatti, rischia di divenire una sorta di modello di business di Stato in forza del quale, in buona sostanza, l’industria dell’hardware e i consumatori di tali prodotti si ritroverebbero a finanziare l’industria audiovisiva.

A quanto precede occorre aggiungere che in assenza di nuove regole chiare e trasparenti sulla ripartizione degli importi incassati a titolo di equo compenso non ha senso continuarne ad esigere il pagamento: l’esperienza dell’IMAIE trovato con milioni di euro a tale titolo raccolti e mai distribuiti dovrebbe essere di insegnamento.

Passando ad altro argomento ovvero alle future soluzioni di enforcement dei diritti di proprietà intellettuale che, appare probabile, troveremo ad attenderci al rientro dalle vacanze, mi sembra imprescindibile che nel porvi mano si tengano presenti almeno tre aspetti: a) il tema della tutela delle opere e della repressione delle violazioni vere e presunte non può essere affrontato senza contestualmente porsi il problema di incentivare l’offerta legale perché si tratta di due facce di una stessa medaglia; b) nel valutare eventuali nuove soluzioni di enforcement occorrerà tener presente il costo complessivo di attuazione della soluzione medesima perché essa potrebbe – come sembra emergere in Francia – risultare antieconomica per la collettività; c) qualsivoglia misura di tutela della proprietà intellettuale dovrà garantire il rispetto della disciplina in materia di privacy e di quella relativa alla libertà di informazione nella sua duplice accezione.

È ovvio, infine, che nello scenario che verrà, gli utenti dovranno fare la loro parte rinunciando a forme di generalizzato cannibalismo delle altrui creazioni ed accedendo alle opere attraverso i canali legali che ci si augura saranno disponibili in misura sempre maggiore.
Non c’è compromesso che non costi un sacrificio e questo è imprescindibile se si intende beneficiare tutti delle enormi opportunità che l’era del digitale ci offre.
Questa è, secondo me, la strada che porta al futuro della conoscenza e della cultura che vorrei. La vostra qual è?

Guido Scorza
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
7 ago 2009
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