Ieri sera ero a cena con un amico di lunga data ma scarsa frequentazione, musicista e compositore ed il discorso per caso è caduto sui problemi della proprietà intellettuale che per lui coincide, nella sua visione professionale e vitale ma limitata, con il diritto d’autore, il quale a sua volta coincide con la SIAE ed i borderò.
Con sorpresa dei presenti la discussione si è ampliata con toni a tratti assai accesi, ed ha coinvolto, come ascoltatori un po’ stupiti, tutta la tavolata.
Trattandosi di una discussione tra amici tutto è terminato a tarallucci e vino, anzi pizza e birra.
Poi però ho rimuginato per conto mio e cercato di distillare il succo della discussione: c’era stato senz’altro un passaggio di informazioni, ma una comprensione assai scarsa ed a tratti nulla del perché ridurre al minimo indispensabile la cosiddetta “Proprietà Intellettuale” nell’immediato futuro sia di importanza vitale per tutti.
La percezione di quasi tutti i presenti è stata che si parlasse del “pane di un autore” contro il “fumo di un principio” bello ma astratto: a posteriori ho capito che non ero stato capace di fare la mia parte nella discussione come avrei dovuto e potuto. Cosa avrei dovuto dire per far capire quanto e quanto presto le cose potrebbero mettersi peggio per tutti per colpa della frenetica escalation della cosiddetta “Proprietà Intellettuale”?
In tempi non sospetti avevo già cercato di esporre in un ormai troppo citato articolo il perché una carestia culturale artificialmente indotta fosse, prima che stupida, una cosa totalmente immorale: sono passati ben sei anni da allora ed è necessario aggiornare e ampliare il discorso.
Viviamo sempre più in una economia in cui il libero mercato è il nuovo pensiero unico, ed il capitale è lo scopo e la misura di ogni cosa.
Nel mondo gli stati nazionali democratici stanno lentamente ma inarrestabilmente abdicando alle funzioni di mantenimento di uno stato sociale, che per stessa ammissione dei suoi sostenitori il libero mercato non sarà mai in grado di ricreare o anche solo di mantenere. Il libero mercato si è evoluto per trattare le situazioni in cui una risorsa ha valore perché limitata o non riproducibile: non è il caso delle informazioni che sono invece riproducibili a costo marginale zero e quindi non limitate.
Inventando ed estendendo a dismisura la cosiddetta “Proprietà Intellettuale” e creando leggi ad hoc ed organismi internazionali come il WTO si può inibire lo scambio di informazioni e creare così una scarsità artificialmente indotta: questo rende le informazioni una nuova materia prima, creando un mercato ed una nuova possibilità di profitto per individui e aziende a scapito del benessere della società nel suo complesso.
La cultura e le informazioni sono così diventati una materia prima strategica e di valore crescente, e attorno ad essa si è creato un mercato della conoscenza e una nuova classe sociale di lavoratori della conoscenza.
Parlare di libero mercato e di classi sociali sembra molto retro’, ed evoca ponderose opere di Adam Smith e Karl Marx che preoccupano chi non le ha lette e sembrano spesso superate a chi invece lo ha fatto anche solo superficialmente.
Alcuni concetti colà esposti mantengono invece una sorprendente validità, ed anzi si applicano forse ancor meglio alla attuale transizione verso una società della informazione e della conoscenza che alla rivoluzione industriale, alla lotta della classe operaia e all’ascesa del capitalismo. Applicando questi concetti appare del tutto possibile che quello che ci aspetta nel prossimo futuro, 10 o 15 anni da adesso, sia sì la transizione ad una società della conoscenza, ma che questa nuova società della conoscenza non sarà prospera, libera e democratica ma piuttosto una società mediamente povera, chiusa e nella quale il benessere è appannaggio di una elite come in un nuovo medioevo.
Un medioevo 2.0 . Una società in cui la ripartizione della ricchezza dovuta alla conoscenza si concentrerà sempre più nelle mani di poche persone e di poche nazioni, proprio come è successo con l’espulsione dei contadini dalle terre, lo sfruttamento delle risorse primarie e l’impiego massiccio del lavoro industriale di salariati.
Una società in cui le proprietà comuni come la cultura e le informazioni verranno fatte proprie da una nuova classe di latifondisti, che concentreranno le risorse senza sfruttarle adeguatamente e produrranno povertà per molti allo scopo di trarne un profitto per pochi.
Come al solito la storia puo’ insegnare molto ed essere usata per tentare di prevedere il futuro. In questo caso Lawrence Lessig è stato tra i primi ad accorgersene. In paesi come l’Inghilterra fino al XVII secolo esistevano proprietà terriere, dette ” Commons “, i cui diritti di sfruttamento (coltivazione, pesca, edificazione, etc.) appartenevano non all’eventuale proprietario (privato o Stato) ma a tutti (qualcuno ha detto “come la cultura”?).
A partire dal 1700 il nascere di leggi sulle recinzioni , che mettevano in difficoltà chi non poteva sostenere spese per i recinti o per gli atti legali, portò alla concentrazione delle proprietà nelle mani di pochi grandi proprietari che ovviamente erano stati i promotori e i sostenitori delle leggi stesse. Questo creò una classe di nuovi poveri senza terra, la loro urbanizzazione e l’accumulazione di una forza lavoro di proletari che sarà poi essenziale durante la rivoluzione industriale, la formazione del capitalismo e la sua ascesa a sistema economico mondiale.
Non ci vuole particolare immaginazione per intravedere un parallelo tra terre, coltivazione, recinzioni, latifondisti e povertà rispettivamente con cultura, creazione di opere dell’ingegno, proprietà intellettuale e DRM, proprietari di diritti e sottosviluppo culturale.
Il paragone può sembrare tirato per i capelli, ma sul fatto che la cultura di oggi non possa più svilupparsi con gli stessi meccanismi che hanno funzionato fino al XX secolo a causa dello sviluppo di quella che viene definita “Economia della conoscenza” c’è un accordo quasi generale.
La generalità delle persone ha ormai perso di vista il fatto che conoscenza e la cultura sono entità totalmente diverse da materie prime, terre e lavoro. Sono non privative e riproducibili.
Se io ho una mela e tu la prendi io rimango senza, e se abbiamo una mela a testa e ce le scambiamo restiamo con una mela a testa.
Se io ho un’idea e tu la prendi abbiamo tutti e due la stessa idea, e se ognuno di noi ha un’idea e ce le scambiamo, avremo ciascuno due idee.
Non esiste “naturalmente” scarsità di idee e cultura come accade per le altre entità economiche. Per far entrare nel ciclo economico il valore dell’informazione bisogna “violentare” sia la Rete che il circolo virtuoso della cultura per poter creare un’artificiale scarsità, e questo è ciò che il capitalismo moderno sta realizzando tra l’indifferenza od addirittura con l’apprezzamento della maggior parte dei presenti e futuri “consumatori”.
Grazie a questo si crea un ulteriore flusso economico destinato per la maggior parte ad alimentare rendite improduttive e di posizione e quindi parassitarie come quelle di chi compra e detiene diritti di proprietà intellettuale, che impoverirà la maggior parte della società civile.
Grazie a questo si rallenta il circolo virtuoso della cultura e si impoverisce il complesso della società che produce e utilizza cultura a favore dei nuovi latifondisti.
Questo avrei dovuto spiegare alla cena, che a causa della “Proprietà Intellettuale” tempi oscuri ci attendono.
Lo Slog (Static Blog) di Marco Calamari
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