Dal fondatore e leader del primo Partito Pirata in circolazione, quello svedese, ci si aspetterebbe un assalto al diritto d’autore e all’establishment dei detentori dei diritti con il proverbiale coltello tra i denti. Eppure, ascoltando e osservando Rick Falkvinge durante uno delle sue prime uscite pubbliche dopo l’elezione al seggio europeo, si ha l’impressione di essere al cospetto di un oratore di buon livello e di un politico lucido: che fa delle proposte ragionevoli, condivisibili, apprezzabili. Ma che, fermandosi a riflettere un attimo, sono potenzialmente dirompenti in un contesto come quello della UE dove sono in discussione il Pacchetto Telecom e la dottrina Sarkozy.
Certo, l’occasione nella quale il discorso di Falkvinge si tiene aiuta senz’altro: il primo congresso della neonata associazione Agorà Digitale , tenutosi a Salerno a margine di una settimana di lavori del Partito Radicale, e che proprio negli esponenti del partito il cui leader è Marco Cappato ha trovato fondatori e primi sostenitori. Una platea ben disposta ad ascoltare e raccogliere suggerimenti, mutuare l’esperienza del Partito Pirata in Svezia: che alle ultime elezioni si è preso la soddisfazione di divenire la terza forza politica del paese, superando organizzazioni sulla piazza da molti anni e con un apparato associativo di gran lunga più capillare e in teoria radicato di quello dei seguaci dei bucanieri.
Falkvinge, in ogni caso, non è tipo da nascondersi dietro un dito: ammette candidamente che senza la vicenda The Pirate Bay, senza il raid del 2006 e il processo del 2009, forse il suo partito non sarebbe dove si trova adesso. Ma, allo stesso tempo, è pronto a rivendicare il suo seggio al Parlamento Europeo con alcune proposte (concrete o meno si vedrà) che ovviamente riguardano i temi caldi della sua campagna elettorale e che molto cari risultano agli abitanti della Rete: anonimato, copyright, equo compenso e, dulcis in fundo, ACTA .
Il leader del Partito Pirata, come detto, è un abile parlatore: si esprime con calma e snocciola fatti e date, costruisce con attenzione le sue tesi. Ricorda la nascita del Copyright nel 1557, nel Regno Unito, e le ragioni storiche che spinsero le gerarchie ecclesiastiche a volere questa misura di controllo sul nuovo mezzo di diffusione del sapere; rammenta cosa accadde negli anni ’60 e ’70 con le prime radio pirata, che dalle acque extra-territoriali rompevano il “monopolio”, così lo chiama, del governo su questo mezzo; conclude citando la rivoluzione delle TV commerciali degli anni ’80 , e di come in Svezia a lungo i decoder satellitari siano rimasti fuorilegge a causa del ritardo con cui lo stato ha provveduto a riformare le leggi in merito.
Tutto per arrivare a un punto: il copyright, il diritto d’autore, gli interessi delle major del disco e della celluloide, secondo Falkvinge non sono altro che il pretesto che i governi di tutto il mondo hanno adottato per tentare di mettere sotto controllo il nuovo strumento principe di diffusione delle informazioni . Internet: che è anonimo, che è democratico e incontrollabile, dove tutti possono avere la propria opinione e dove chiunque può verificare fatti, dati, avvenimenti, smentire ricostruzioni mendaci e bugie elettorali.
Dopo l’affondo, Falkvinge stempera l’aggressività: il suo Partito Pirata, e non potrebbe essere altrimenti visto che concorre a cariche parlamentari, non è l’ultima organizzazione anarchica eversiva. È piuttosto “la nuova generazione delle associazioni per i diritti civili”: una struttura orizzontale che tenta di rispondere alle esigenze nuove di chi è cittadino anche online, riportando sulla Rete tutti i diritti acquisiti e incontestati di cui già chiunque gode nei paesi occidentali quando si parla di “vita reale”.
“I governi occidentali criticavano la Cina per la censura su Internet – incalza il leader svedese – Ora emulano il governo cinese, in silenzio: aumentano le intercettazioni, anche internazionali, e di pari passo aumenta la data retention: in Germania, la metà dei cittadini ha smesso di telefonare a psicologi e altri servizi di assistenza per il timore che il governo possa tenere traccia di queste chiamate”. C’è bisogno di adottare subito delle contromisure – citate ovviamente cifratura, anonimizzazione di ogni tipo (concetti per altro già sostenuti in passato in Italia da altre associazioni) – ma ci sono anche altre iniziative che vanno intraprese per tentare di tener testa ad un sistema di controllo draconiano dei cittadini.
“I governi pensano – aggiunge ancora – che Internet sia un gioco da togliere ad un bambino quando è stato cattivo: non credono che Internet sia una cosa reale, tangibile”. Al web vengono applicate regole diverse e, per certi versi secondo Falkvinge, incomprensibili: la posta è inviolabile se spedita con busta e francobollo, ma facilmente intercettata quando è composta di bit . Le biblioteche pubbliche prestano titoli coperti dal diritto d’autore a titolo gratuito da 150 anni: lo stesso deve poter avvenire, per uso privato, anche online. Gli intermediari non sono responsabili di quanto trasportano: dall’epoca dell’Impero Romano “ambasciator non porta pena”, e questo deve rimanere valido offline (dove corrieri e uffici postali non sono responsabili di quanto viene spedito) quanto online.
Il Partito Pirata, a partire da oggi con le prime sedute del nuovo Parlamento Europeo, cercherà di portare all’attenzione dell’agenda politica queste problematiche: punibilità per violazione del copyright solo se fatto per scopi commerciali (equivalente, secondo Falkvinge, alla legalizzazione del file sharing per i privati ); limite di cinque anni alla durata del diritto d’autore; riconoscimento del diritto di remix, mashup e riutilizzo creativo dei contenuti; riconoscimento della paternità delle opere, per evitare il plagio. Infine, la rivisitazione del principio dell’equo compenso e contrasto alla cosiddetta broadband tax : chi verrebbe compensato per il traffico generato online, scherza Falkvinge, i detentori dei diritti sulla musica e i film, o i produttori di materiale pornografico che da tempo producono introiti in Rete?
L’intervento di Falkvinge si chiude con una risposta diplomatica al guru del software libero Richard Stallman , che aveva contestato l’ipotesi di una limitazione a cinque anni del diritto d’autore temendo che pezzi di codice libero potessero finire all’interno di software proprietario. Falkvinge liquida l’ipotesi di un archivio di stato del codice sorgente, e pone l’accento sul discorso competitività: “Se un software closed source ha bisogno di integrare pezzi di free software vecchio di cinque anni, superando in questo modo il suo omologo libero, ci sarebbe comunque un problema”. E poi, da politico d’esperienza, ringrazia Stallman e lo invita a continuare nel suo lavoro che tanta importanza riveste per la comunità.
Luca Annunziata